Bruno Pizzul: chierichetto, calciatore e telecronista

Dall'oratorio di Cormòns alla cabina di commento di tutti gli stadi d'Italia e del mondo. La voce che ha unito l'Italia nella disperazione sportiva: erede di Nando Martellini, ultima grande voce della Nazionale
Bruno Pizzul: chierichetto, calciatore e telecronista
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Ci sono delle voci che restano impresse nella memoria. Ce n’è una in particolare che lega l’Italia, soprattutto la Nazionale di calcio. Una voce controllata, sottile e mai sopra le righe, che non necessita di mettere sotto sforzo l’ugola. Tra il 1986 e il 2002, ogni volta che giocano gli azzurri, dalle casse di uno schermo a tubo catodico escono queste parole: “Signori all'ascolto, buonasera. Siete collegati in diretta con lo stadio...”. Viene automatico leggerle con quella voce unica, irripetibile, familiare per chiunque, di Bruno Pizzul. E pensare che Bruno, i giornalisti, inizialmente, non li amava. Quando era calciatore, aveva maturato una sincera antipatia verso di loro, dato che spesso i giudizi di questi ultimi nei suoi confronti non erano mai teneri.

IL TELECRONISTA - La vita è strana, proprio come il calcio. Pizzul non avrebbe mai creduto di ritrovarsi davanti a un microfono e, invece, i due hanno scandito i tempi delle generazioni di fine millennio. Per i bambini nati tra gli anni Ottanta e Novanta, la voce di Bruno è uno dei ricordi più nitidi dell’infanzia: poco importa se non ha mai avuto la fortuna di raccontare un successo dell’Italia. Ogni volta che si ripresenta l’occasione di rivedere qualche immagine da lui raccontata, un brivido corre lungo la schiena, come se si stesse rivivendo quel momento. Pizzul non ha potuto urlare “Campioni del Mondo”, ma era solito dire “Azzurri a casa”. I drammi dagli undici metri del ‘90, del ‘94 e del ‘98, la cocente eliminazione a Messico ‘86 (il suo primo Mondiale da voce ufficiale dell’Italia) e quella di dieci anni più tardi agli Europei d’Inghilterra. Il golden gol di Trezeguet a Rotterdam nel 2000 e i clamorosi abbagli di Byron Moreno contro la Corea del Sud. Esperienze vissute e sofferte in un abbraccio che riunisce milioni di tifosi, spesso catturati da quelle parole desuete, impensabili per una partita di calcio, ma che sembrano siano state inventate per la sua voce. “Nonnulla”, “laddove”, i “ripetuti piovaschi” e i verbi “cincischiare” o “sciabordare”. Ancora oggi, solo a leggere queste parole, le sue, viene da ripeterle a voce alta provando a imitarlo. 

IL CALCIATORE - Prima di prendere parte a cinque Mondiali e a quattro Europei come giornalista, Bruno Pizzul è un semplice bambino friulano. Un ragazzo spensierato che cresce tra le vie di Cormòns, nelle quali non sempre c’è un pallone di cuoio, ma pur di giocare lo costruisce assemblando qualche vecchio straccio. Per tirare qualche calcio basta qualcosa che abbia una forma sferica. Altri tempi: chi riesce a distinguersi giocando per strada, viene chiamato nella squadra del paese. Da lì, se c’è la determinazione, il talento e anche un pizzico di fortuna, si può andare avanti. Inizialmente Bruno ha tutto dalla sua parte e la carriera professionistica inizia: prima lo chiama la Pro Gorizia, poi il Catania. Passa un anno in prestito all’Ischia e nel 1961 torna ai piedi dell’Etna, ma la sua carriera finisce presto a causa di un infortunio al ginocchio e le esperienze con Udinese e Cremonese durano troppo poco. La sfortuna non lo aiuta, ma Pizzul, oltre al calcio, porta avanti gli studi in giurisprudenza e si laurea. Ha anche un dottorato in tressette e in briscola che condivide con gli amici del bar, con i quali sorseggia sempre volentieri un buon bicchiere di bianco del suo Friuli. Ah, il vino. Una passione vibrante, tanto quanto per il calcio. Inizia da chierichetto della chiesa di Cormòns, nella quale si nasconde dal prete per rubare un sorso dal calice della sacrestia, diventa un grande estimatore, tanto da presentare a “Quelli che il calcio” una bottiglia ogni domenica che va in trasmissione. Nel 1969, “per una serie di circostanze casuali” (parole di Bruno, quindi vanno lette nel modo corretto), entra in RAI dopo un concorso. Da lì comincia un nuovo capitolo della vita di Pizzul: uno scenario completamente nuovo, all’inizio sconosciuto ma che si rivelerà “tutto molto bello”.


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