Mancini esclusivo: «La mia Italia»

Il ct azzurro si racconta tra futuro, Nazionale, idee, sogni ed emergenze. In 200 giorni ha ottenuto consensi trasversali. L'obiettivo è riportarci davanti a tutti nel Mondo
Mancini esclusivo: «La mia Italia»© ANSA
Alberto Dalla Palma
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«L'anno 2018 del calcio italiano è finito nel peggiore dei modi, pensavamo che l’epoca della violenza dentro e fuori gli stadi fosse finita, invece ci è scappato di nuovo il morto, stavolta a Milano. La situazione sta diventando drammatica, non si può morire andando a vedere una partita di calcio, è arrivato il momento in cui le istituzioni intervengano: qualcuno deve prendere decisioni importanti, drastiche, anche impopolari per porre fine a questa collana di morti insopportabili. Sono stato per tanti anni in Inghilterra, dove la situazione era altrettanto drammatica: oggi i tifosi vedono le partite a contatto con i giocatori, non ci sono ostacoli tra loro e il campo. Perché in Italia non si può entrare in uno stadio serenamente, senza rischiare una bastonata in testa o una coltellata? E poi tutto quel razzismo, oggi che anche in Nazionale abbiamo dei giocatori di colore. Manca una vera cultura sportiva, il mondo è cambiato e in troppi non se ne sono accorti. Bisogna che i genitori facciano i genitori e inizino a educare i propri figli. Questa è la base di partenza, poi servono - come ho detto - prese di posizioni impopolari. I buuuu razzisti non hanno senso, non c’è una squadra dove non ci sia un nero, perché allora insultare quelli della squadra avversaria? Fermiamoci, se necessario, fermiamoci noi, come dice Ancelotti se le istituzioni non sono in grado di risolvere questo problema vergognoso».

Con Roberto Mancini ci conosciamo dal luglio del 1997, quando sbarcò a Roma per diventare il simbolo della Lazio più vincente di sempre. Uno scudetto e altri cinque trofei, in Italia e in Europa da giocatore, più la Coppa nazionale da allenatore: una lunga amicizia durante la quale ha sempre parlato con orgoglio della Nazionale italiana, non tutti i giorni ma quasi. Orgoglio e anche molti rimpianti: da giovane sbagliò con Bearzot per una folle notte newyorkese, da meno giovane sbagliò con Arrigo Sacchi che oggi, almeno leggendo quello che scrive, è diventato uno dei suoi principali estimatori. Mancini ha vinto dappertutto, anche dove sembrava impossibile, ma ha perso solo con la maglia az zurra. Fino al maggio dell’anno scorso: duecento giorni fa, la rivincita che aspettava da una vita. Non importa se c’erano milioni di euro (milioni veri) da bruciare pur di entrare in Federazione: per lui l’Italia è sempre stato un punto di arrivo e non di passaggio, tanto che oggi firmerebbe a vita.

«Diventare ct della Nazionale era un sogno che si è realizzato. Quando giochi in quella squadra, sai di essere entrato a far parte di un’élite di calciatori importanti, ti misuri con il meglio di tutto il mondo. Quando la gestisci in panchina, sei consapevole di rappresentare il tuo Paese, occupando un ruolo importante: a volte il calcio, nonostante la rabbia per quello che ho detto all’inizio dell’intervista, regala emozioni che fanno bene alla gente. Io voglio allenare con questo spirito: provare a vincere gli Europei e i Mondiali, sì, ma anche trasformare la squadra in un motivo di orgoglio per la nostra gente. Quando ho conquistato la Premier a Manchester, ho indossato subito il tricolore: era la mia dedica, mi sento un italiano vero».

Sei mesi da ct, ci racconti.
«Sono contento, penso di aver costruito un bel gruppo, una Nazionale speciale e divertente. Sulle tracce di quella delle notti magiche del 1990. Sto lavorando pensando al futuro: guardo i giovani, li studio, li preparo e li faccio giocare. Penso che le ultime partite abbiano ricreato una bella armonia tra la squadra e la gente dopo una delusione insopportabile. Vedere i Mondiali senza di noi è stata dura».

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Da Quagliarella, il Grande Vecchio, a Zaniolo: quante critiche per quella prima chiamata.
«Lo avevo seguito nell’Under 19, come Tonali. E mi accorsi che aveva delle qualità non comuni per un ragazzo così giovane, che si misurava ancora in Primavera. Rispetto agli altri, aveva più fisico e più qualità. Volevo vederlo subito e oggi penso che i fatti mi abbiano dato ragione. E’ diventato un titolare della Roma. Zaniolo è il talento del futuro».

Uno scavino davanti alla porta e già è stato paragonato a Totti.
«Questo è il bello e il brutto di Roma, intesa come città. Un giorno è tutto nero, un giorno è tutto bianco. Poi esiste una via di mezzo. Per me lui non è un Totti ma un interno di sinistra o di destra che può realizzare molti gol. Tanto è vero che Di Francesco lo utilizza per attaccare: Zaniolo ha fisico, potenza e tiro».

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A proposito di SuperMario...
«Io ho fatto il possibile, spero sempre che succeda qualcosa, naturalmente in positivo. Tornerà in Nazionale solo se lo merita. Da giovane mi ha dato tanto, sia all’Inter che a Manchester. Negli ultimi mesi davvero poco. Ma ha 28 anni, se vuole ha tempo, gli Europei e i Mondiali dovrebbero essere attrazioni fatali».

Leggi l'intervista completa sull'edizione odierna del Corriere dello Sport-Stadio


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