Il terremoto di Puebla e il ricordo della Nazionale che ci visse un mese

Bearzot aveva scelto Puebla per il ritiro di Messico '86. Dove adesso ci sono macerie e dolore fiorirono speranze e amori
Il terremoto di Puebla e il ricordo della Nazionale che ci visse un mese© EPA
Alberto Polverosi
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Il terribile terremoto che ha colpito il Messico ha avuto il suo epicentro nella città di Puebla. Trentuno anni fa il nostro inviato ci aveva trascorso un mese al seguito della Nazionale italiana, prima del Mondiale Messico ‘86.
  
  Era dolcissima Puebla in quei giorni. Calda, accogliente, felice di avere ospiti italiani. Di più, orgogliosa che l’Italia campione del mondo l’avesse scelta per il ritiro di Messico ‘86. Enzo Bearzot aveva portato gli azzurri alla Meson del Angel, un po’ fuori città, una specie di resort di quei tempi. Teneva le conferenze stampa in una sala dell’albergo, accanto a lui un suo inseparabile amico, Guido Vantaggiato, segretario della Nazionale, e allo stesso tavolo Ugo Cestani, presidente dell’allora Lega Semiprofessionisti, capodelagazione, un signore bonario, già un po’ in là con gli anni e ogni tanto mentre Enzo parlava si appisolava.
   L’Italia si allenava in un piccolo stadio alla periferia di Puebla e Bearzot, quando c’erano i giornalisti stranieri, li incontrava su quelle tribune. Un giorno un collega messicano gli riportò una confidenza che a Città del Messico un cronista italiano gli aveva fatto sul suo conto, una confidenza che al ct non era piaciuta, tantoché prese fuoco e iniziò a urlare: “Dimmi chi te lo ha detto che lo ammazzo”. L’interprete era Dario Bianchi, conosceva una decina di lingue, e quel giorno tradusse alla lettera: “Dime quién te dijo que voy a matarlo”. Aggiungendo: “Lo mata, lo mata”.
   Giocammo a Città del Messico la partita del debutto contro la Bulgaria il 31 maggio e a Puebla, al Cuauhtémoc, nella gara successiva incontrammo l’Argentina di Maradona, che ci fece quel gol strano, con Scirea che non riuscì a chiudergli la traiettoria e che Giovanni Galli lo considera ancora oggi “un gol preso da brodo”. Eravamo in vantaggio, aveva segnato Altobelli. Puebla ci portò fortuna perché in quello stesso stadio vincemmo la terza partita contro la Corea del Sud, 3-2, doppietta di uno scatenato Altobelli: in tre partite aveva firmato quattro gol. Tornammo a Città del Messico per incontrare ai quarti di finale la Francia di Platini, con Beppe Baresi in marcatura a uomo su Michel, e uscimmo dal Mondiale: 2-0 per la Francia. Bearzot aveva fatto scegliere al cuore, chiamando anche Tardelli e Rossi, ma i reduci di Spagna ‘82, dopo 4 anni, non erano più gli stessi.
   Puebla fu dolce per tanti giovani (e meno giovani) giornalisti italiani. Nacquero amori, alcuni consumati, altri sfiorati, altri soltanto sognati, altri ancora vagheggiati. Eravamo nell’albergo dove la Fifa aveva realizzato il centro stampa, non c’erano i telefonini, non c’erano i computer, si dettavano i pezzi a telefono, ma dal Messico non era facile prendere la linea. Le hostes, le azafatas, scrivevano su un fogliettino il numero che con cui volevi parlare e un minuto dopo, con aria mesta, venivano a dirti che “no contesta ninguno”, non risponde nessuno.
   La Nazionale era una squadra un po’ scombinata in quel Mondiale, ma anche il gruppo dei giornalisti, ve lo possiamo assicurare, non era da meno. Si creavano alleanze che la sera si rompevano davanti a discussioni furiose di calcio, di ragazze e fidanzamenti. Fu festa grande, però, quando nel nostro albergo arrivarono le mogli e le fidanzate dei giocatori spagnoli, anche loro in ritiro a Puebla.
   Dopo più di trent’anni, quel Mondiale è ancora dentro a chi l’ha vissuto. Per noi era il primo e forse per questo è scolpito ancora qui, nella mente e nel cuore. E poi, a ripensarci ora, in quel gruppo c’erano giornalisti che di strada ne hanno fatta. Tempo fa, è saltata fuori chissà da dove una foto di gruppo scattata allo stadio di Puebla dove si allenava la Nazionale: uno di quelli ritratti ha fatto il direttore, un altro il vice direttore, un altro ancora il responsabile di una grande redazione d’agenzia. Poi c’eravamo noi, l’errore in quella foto.
   Il pensiero che oggi vi siano macerie e dolore dove un tempo c’era tanta bellezza e tanto amore fa stare male chi ha vissuto quei giorni. Lontani, dolci, impossibili da dimenticare.
  


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