Malagò punta le Olimpiadi di Parigi: "Il portabandiera? Ecco le opzioni"

In carica dal 2013, il presidente del Coni parla in esclusiva dei prossimi Giochi tra ambizioni, prospettive e bilanci
Paolo de Laurentiis
9 min

ROMA - I 100 giorni del Coni: il 26 luglio - serata d’apertura dei Giochi di Parigi - è dietro l’angolo. Le 40 medaglie di Tokyo, record nella storia dello sport italiano, diventano sempre più piccole per fare posto a quelle che arriveranno. Giovanni Malagò, alla guida dello sport italiano da 11 anni, è sereno: sarà un successo.

Tokyo è replicabile?
«Sondaggi, algoritmi e proiezioni ci danno tra le 41 e le 50 medaglie. Poi ci sono i dettagli e la differenza tra essere o non essere all’Olimpiade è la stessa di vincere o no una medaglia. Prendiamo il basket 3x3, il tiro a segno, l’arco o a lotta solo per fare qualche esempio: qualifichiamoci e ci giocheremo il podio».

E avanza il tennis. Sinner è ovunque: numero uno del mondo, oro olimpico, portabandiera.
«Lo ringrazio pubblicamente: sulla questione portabandiera mi sono esposto facendo considerazioni di buon senso. Il modo in cui ha risposto (“io ho molti tornei durante l’anno, è giusto che la bandiera sia affidata a chi ha nell’Olimpiade il traguardo più importante della sua carriera”, ndr) gli fa onore: ci fa capire la maturità, l’intelligenza e la sensibilità della persona».

Ma è meglio Sinner numero 1 del mondo o Sinner con l’oro olimpico al collo?
«Le due cose possono andare insieme. Il valore dell’Olimpiade è sotto gli occhi di tutti: gli Slam sono quattro all’anno e tutti gli anni, i Giochi sono un’altra cosa».

Avremo due portabandiera? Un uomo e una donna?
«Farò le mie proposte. Una cosa mi sento di dirla: il Cio raccomanda la parità di genere, il presidente del Coni è membro del Cio e i prossimi Giochi saranno in Italia. Sarebbe fuori luogo non tenerne conto. Detto questo, abbiamo diverse soluzioni».

È così importante aver vinto l’oro olimpico per fare il portabandiera?
«È un discorso che fa parte delle soluzioni di cui parlavo prima».

Sarà l’Olimpiade della parità di genere con lo stesso numero di uomini e donne ai Giochi, strada che anche l’Italia sta percorrendo.
«Siamo 110 a 109 in questo momento. Al di là dei numeri, che possono essere condizionati da una squadra in più o in meno che si qualifica all’ultimo momento, conta il messaggio che diamo al Paese».

Vuol dire che lo sport italiano è un passo avanti rispetto all’Italia?
«Non solo sulla parità di genere. Prendiamo i successi dell’atletica, ottenuti anche con gli italiani di seconda generazione. Eppure viviamo una contraddizione enorme».

Quale?
«Otteniamo risultati con le strutture peggiori del mondo. Non lo dico io ma gli stessi organismi che rappresentano lo sport a livello governativo. Quanto può durare?».

Chi si fa carico dello sport in Italia?
«Le Asd (Associazioni sportive dilettantistiche, ndr): tutto è sulle loro spalle, fanno un lavoro encomiabile e sono state le più colpite da quello che è successo negli ultimi anni. Loro sono la nostra forza, che nasce dalla debolezza dovuta all’assenza dello sport a scuola su cui si continua a fantasticare. Preferisco stendere un velo pietoso».

Un messaggio per…
«Il mondo della politica, senza distinzioni di bandiera. Deve rendersi conto che la capacità delle Asd non è infinita, far quadrare i conti è sempre più difficile e le riforme, pur legittime come il lavoro sportivo, hanno aumentato le loro incombenze. Questo è un dato di fatto. Lo sport a scuola è l’unica strada che può consentirci di attutire i contraccolpi che ci saranno nel breve termine, anche per via del calo demografico».

Lo sport italiano è solo?
«Non c’è alcun dubbio. Eppure il lavoro delle Asd dà al Paese una caratteristica unica al mondo: l’Italia sa fare tutto. Scia come gli austriaci, nuota e fa surf come gli australiani, corre come gli africani. Nessuno è come noi».

Orgoglio di presidente.
«Sì, sono orgoglioso di essere italiano, di rappresentare il mio Paese anche in un modo patologico. Ovunque andiamo ci considerano un'eccellenza, non so se succede in tanti altri settori. Purtroppo non succede in casa nostra ma questo non ci condiziona».

Vuol dire che la nostra credibilità ricostruita dopo il no a Roma 2024 è ancora intatta?
«Respiriamo ovunque attestati di stima. Detto questo, il più grande errore è dare per scontato che questa situazione sia perpetua. È sempre a rischio. Ci sono due variabili: l'autonomia dello sport, almeno su questi presupposti indispensabile al 100%, e l’aspetto demografico, per cui se lo Stato non provvede a un cambio di marcia chiunque arriverà qui tra qualche anno pagherà dazio e lo dico a vantaggio di chi ci sarà dopo di me».

A proposito: chi arriverà dopo Malagò? O forse dovremmo partire dal “quando” il Coni avrà un nuovo presidente.
«A oggi la legge dice che tutti sono ricandidabili, anche i presidenti di federazione e del Cip, a eccezione del presidente del Coni. Se il Governo ritiene che questa sia una cosa giusta, io sono sereno e tranquillo. Dico però che pochissimi mesi dopo la scadenza del mandato al Coni, fissata al 30 maggio 2025, abbiamo l'Olimpiade in casa con un tema di competenze, ruoli, ma anche di statuto e atti formali. In questo momento c'è anche la coincidenza che la carica di membro del Cio e presidente del Coni è unica».

Una proroga del mandato avrebbe senso o sarebbe un compromesso?
«La proroga è sempre un compromesso. Come tante cose di questo Paese, bisogna valutare se è meglio o è la meno peggio. Certo che è incredibile e curioso che su 60 milioni di persone che hanno a che fare con lo sport, l'unica persona che rientra in questa casistica sia il sottoscritto».

Undici anni di presidenza, l’avvicinamento ai Giochi è sempre lo stesso?
«No. Ogni Olimpiade è diversa, l'ultima sappiamo com'è andata. Siamo stati bravi a gestire la preparazione olimpica meglio degli altri, qui stavolta tutto il mondo si è scatenato. Se da una parte la situazione di russi e bielorussi ci dà un vantaggio, dall’altra c’è il ritorno di alcuni grandi paesi, come Cina e Australia, che a Tokyo sono stati penalizzati dal Covid».

Lo sport che ci darà più soddisfazioni?
«La scherma, mi aspetto dalle 5 alle 10 medaglie. Anche se ogni volta che incontro Azzi (il presidente della federscherma, ndr) fa gli scongiuri. È chiaro che non possiamo pensare di replicare alcune cose clamorose di Tokyo: i 5 ori dell’atletica sono irripetibili ma potrebbero arrivare più medaglie, distribuite in modo diverso. Sono convinto che faremo bene nella vela, nel judo, nel taekwondo possiamo raddoppiare l'oro di Dell'Aquila. Poi ci sono le squadre».

Quanto manca il calcio all’Olimpiade?
«Da morire. E non è vero che ai calciatori non interessano i Giochi, ci tengono tantissimo. L’idea di stare in un villaggio e incontrare campioni come Djokovic, Bolt o LeBron li fa impazzire. Ricordo che a Rio 2016, se l’Italia si fosse qualificata, Totti e Buffon avevano dato la disponibilità a venire come fuori quota per un’ultima apparizione in azzurro».

L’atleta a cui si sente più legato? Vietato rispondere Federica Pellegrini.
«Dico Sofia Goggia e mi è dispiaciuto molto che l’infortunio le abbia negato la possibilità di fare la portabandiera ai Giochi del 2022».

Che voto si dà dopo tanti anni di gestione?
«Sono sempre stato contrario ai voti. Quando me ne andrò da qui, comunque, me lo farò dare dagli altri sulla base di due elementi: l'impegno e i risultati, dando per scontata la passione. Lo sport è un'azienda, anche se atipica, e come tutte le aziende contano i risultati. Se uno guarda bene, c'è stata sempre una crescita: noi nel 2021 e 2022 siamo stati primi in Europa e secondi nel mondo dietro gli Stati Uniti, nel 2023 siamo ancora primi in Europa e terzi nel mondo dopo Usa e Cina».

Cosa ci aspetta dopo Parigi?
«Intanto Milano Cortina. L’Olimpiade invernale torna in Italia dopo anni e se questa cosa funziona bene è come se ci mettessimo al collo un’altra medaglia. Ricordiamoci però che ci si mette molto a costruire e un attimo a rovinare tutto».


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