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Nessuno come Di Bartolomei

Nella sua Roma c’erano campioni come Conti, Falcao, Pruzzo e Cerezo ma lui diventò la vera bandiera-scudetto anche per i tifosi. Centrocampista dotato di un tiro potentissimo, poi diventò difensore

«Ricordati di me, mio capitano. Cancella la pistola dalla mano. Se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui». Questi sono due brani della canzone “Tradimento e perdono” che Antonello Venditti scrisse il 30 maggio del 2007, lo stesso giorno in cui tredici anni prima Agostino si tolse la vita. Lo fece esattamente dieci anni dopo la maledetta sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni. Venditti ha voluto ricordare così il capitano del secondo scudetto, il leader indiscusso di quella squadra di campioni. Il cantautore romano era amico di Agostino, sapeva che per la sua sensibilità aveva bisogno di più amore rispetto a un uomo comune. Quell’amore che il mondo del calcio non gli ha dato. Sono passati più di trent’anni dalla sua tragica scomparsa, ma il ricordo di Agostino resta indelebile nel cuore degli sportivi e dei tifosi della sua generazione. Orgogliosi di un capitano che è diventato leggenda.

Capitano dei campioni

In quella squadra c’erano campioni di livello assoluto, un allenatore come Liedholm che in quegli anni introdusse per primo la zona, un presidente come Viola che costruì un gioiello e sfidò le grandi del Nord, ma Di Bartolomei è stato un’icona, un leader silenzioso, schivo e coraggioso, capace di prendere per mano la squadra nei momenti difficili e di lasciare il palcoscenico agli altri nei giorni del successo. Agostino parlava poco, ma quando parlava tutti lo stavano ad ascoltare. Ha lasciato un segno incancellabile nella storia della Roma. È stato un grande protagonista dello scudetto del 1983, ma lo è stato anche in quella maledetta finale, quando realizzò il primo rigore. È diventato un idolo immortale, un simbolo di un calcio che non esiste più. Si tolse la vita sul balcone della sua casa a San Marco, frazione di Castellabate, in provincia di Salerno, il paese di origine di sua moglie Marisa, dove era andato a vivere e dove sognava di realizzare una scuola calcio per la quale incontrò molte difficoltà, dopo aver trovato tutte le porte chiuse a Roma. Una grande delusione, che non riuscì mai a cancellare. Agostino Di Bartolomei è stato un grande talento, anche se non ha mai trovato spazio in Nazionale. Solo otto presenze nell’Under 21, con sette gol. Era difficile vederlo sorridere, sin da quando era ragazzo. È rimasto serio, umile, intransigente con se stesso fino alla fine.

Le origini di Agostino

La sua passione per il calcio nacque nell’oratorio della chiesa del suo quartiere, a Tor Marancia. Il padre voleva che studiasse, Agostino non lo deluse: riusciva a imporsi con il pallone tra i piedi senza trascurare la scuola. Dotato di un tiro potente, passò presto nel settore giovanile della Roma. L’esordio in prima squadra avvenne nella stagione 1972- 73, a poco più di diciotto anni contro l’Inter, a Milano. Lo fece debuttare Tonino Trebiciani, che aveva preso il posto dell’esonerato Helenio Herrera, in un periodo difficilissimo, con la Roma che quell’anno rischiò la retrocessione. Quel giorno contro l’Inter arrivò un pareggio, prezioso per evitare la serie B. Negli anni successivi Agostino fece grandi progressi, anche nella stagione in prestito al Lanerossi Vicenza, nel 1975-76. Tornò l’anno successivo diventando subito il faro della squadra, poi il capitano, fino al divorzio alla fine della stagione 1983-84. Liedholm lo trasformò da centrocampista a libero, difensore centrale nella rivoluzionaria difesa a zona. Un ruolo che interpretava in modo personalissimo, grazie alla presenza di un centrale come Vierchowod. Nella Roma dello scudetto non era un personaggio mondano come Falcao, anche se frequentava i salotti buoni romani con Andreotti, Guttuso, monsignor Angelini. Non era popolare come Bruno Conti, che aveva vinto Mondiale e scudetto in due stagioni. Ma i tifosi lo rispettavano più di qualsiasi altro, riconoscendogli il ruolo indiscusso di leader. Dopo la sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni, arrivò il doloroso divorzio dalla Roma. Di Bartolomei non trovò spazio nel nuovo progetto di Sven Goran Eriksson. Liedholm lo chiamò al Milan, ma i tifosi non lo hanno mai dimenticato. Tra i ricordi resta uno striscione significativo: “Ti hanno tolto la Roma. Ma non la tua curva”. Dopo quella finale persa qualcosa si spezzò. Anche nel rapporto con il presidente Viola. Da giocatore del Milan fu un avversario duro, quando affrontò gli ex compagni ci fu uno scontro in campo con Graziani, il divorzio aveva lasciato scorie velenose. Dopo tre stagioni in rossonero passò al Cesena per poi chiudere la carriera con la Salernitana contribuendo dopo 23 anni a farle raggiungere la serie B. Il 20 settembre 2012 il suo nome venne inserito nella Hall of Fame della Roma. Il giusto riconoscimento per renderlo immortale. Per un campione che avrebbe meritato un altro epilogo della sua carriera.

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