Superga, 4 maggio 1949. Il cielo di Torino si fece pesante, greve come il dolore che avrebbe avvolto per sempre un popolo intero. Alle 17.03, il trimotore Fiat G.212 della compagnia ALI, con a bordo il Grande Torino, si schiantò contro il muraglione posteriore della Basilica di Superga. Non ci furono superstiti: trentuno vite spezzate, un gruppo leggendario consegnato alla storia, all’eternità, al mito. Quel Torino era più di una squadra di calcio. Era l’orgoglio di un’Italia che cercava di rialzarsi dopo le macerie della guerra. Era un sogno collettivo fatto di classe, forza, eleganza, invincibilità. Avevano vinto cinque scudetti consecutivi, dominando il campionato con una superiorità mai vista. Erano l’ossatura della Nazionale, erano i simboli di una generazione che voleva credere nel futuro.
Il tragico incidente aereo di Superga
La squadra stava rientrando da Lisbona, dopo un’amichevole in onore di Francisco Ferreira, capitano del Benfica. Quel viaggio, nato dall’amicizia e dal rispetto, si trasformò in tragedia nella nebbia fitta di Superga, con una rotta sbagliata, con un destino che li stava aspettando. I nomi di quei ragazzi sono scolpiti nel cuore di chi ama il calcio.
Da Valentino Mazzola, capitano e anima, il padre del “Quarto d’ora granata” in cui poteva succedere di tutto, a Ezio Loik e Romeo Menti, passando per i fratelli Ballarin, Bacigalupo, Grezar, Castigliano, Maroso e tutti gli altri. Con loro morirono anche allenatori, dirigenti, giornalisti, l’equipaggio. La notizia si diffuse in poche ore. Torino pianse, l’Italia si fermò. I funerali videro un fiume umano in corteo, un dolore composto e straziante. Non era solo una squadra a essere caduta, era un pezzo di speranza, di bellezza, di vita.
La leggenda del Grande Torino
La Federazione decise che il Torino avrebbe comunque vinto il campionato 1948-49. Le ultime quattro partite furono giocate dai ragazzi della Primavera, accolti dagli avversari con commovente rispetto: il simbolo di una vittoria che non riguardava più solo lo sport, ma l’anima stessa del Paese. Superga è da allora una meta di pellegrinaggio. Ogni 4 maggio, il capitano del Torino legge i nomi di quegli eroi in un silenzio che fa tremare le vene. Il Grande Torino non è mai davvero morto. Vive nel vento che soffia su quella collina, nei racconti dei nonni ai nipoti, nelle maglie granata che portano ancora il peso dolcissimo della memoria. Superga rappresenta l’amara testimonianza che la grandezza, quella vera, non conosce fine.