L’8 maggio 1982 la Formula 1 perse Gilles Villeneuve. Ma soprattutto perse il suo poeta più folle, il suo cavaliere più romantico. Gilles non guidava le macchine: le faceva volare. Non correva per vincere, correva per emozionare. E quando morì in Belgio, durante le qualifiche del Gran Premio sul circuito di Zolder, tutto il mondo si fermò. Perché di Gilles si sarebbe parlato per sempre.
INCIDENTE. Aveva trentadue anni, la tuta rossa, il casco bianco col bordo blu. La Ferrari numero 27 era ormai la sua seconda pelle. Stava spingendo al massimo per migliorare il tempo. Davanti a lui c’era la March di Jochen Mass, lenta, fuori traiettoria. O almeno così sembrava. In un istante terribile, mentre entrambi cercavano di spostarsi dal-la stessa parte, l’impatto. Duecentotrenta all’ora. L’auto di Gilles si impennò, saltò le recinzioni, si disintegrò. Lui fu sbalzato per cinquanta metri. Il corpo, ancora col casco, si adagiò sull’asfalto. Alle 21.12, dopo un lungo consulto, la moglie Joanna concesse il distacco dei macchinari. Le vertebre cervicali erano spezzate, il cuore non rispondeva più. Gilles si spense così. Senza clamore, ma lasciando un vuoto incolmabile. Per Enzo Ferrari fu come perdere un figlio. Lo aveva adorato, difeso, amato. "Era il più generoso dei miei piloti", disse. E lo aveva voluto fortemente in squadra, perché in lui rivedeva la fiamma pura della velocità.
LEGGENDA. Villeneuve non ha mai vinto un Mondiale. Solo sei Gran Premi. Eppure, pochi come lui sono entrati così profondamente nel cuore della gente. Era spettacolo puro. Era il pilota che portava la Ferrari al traguardo anche senza alettone, che accettava i duelli più duri, che accendeva il pubblico con sorpassi impossibili. Come quello con René Arnoux a Digione nel 1979, quando per due giri si sfidarono come gladiatori per un secondo posto. Tamponamenti, staccate, controsorpassi. Una danza ad alta velocità. Vinse Gilles, ma vinsero entrambi. Nel 1997, il figlio Jacques ha portato quel cognome sul tetto del mondo. Con la Williams, battendo Schumacher. Come a chiudere un cerchio. Perché un Villeneuve campione del mondo, in fondo, era destino. Gilles era lì per correre. Non per dominare. Non per gestire. Ma per far battere il cuore. Emozione, purezza, mito. E chi ama i motori, l’otto maggio si ferma. E vola con lui.