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Italia-Germania 4-3, la partita del secolo

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Italia-Germania 4-3, la partita del secolo
La sfida epica tra le due nazionali e il giorno in cui in Messico il calcio si fece eternità

Non è solo una data. Il 17 giugno 1970 è una frontiera nella memoria italiana (e non solo). Una linea che separa il calcio dalle altre cose, che separa il gioco dalla storia, il presente dal mito. Italia-Germania 4-3 non è stata una semplice semifinale di Coppa del Mondo. È stata un’emozione collettiva, una vertigine che ancora oggi fa tremare le vene. Una partita divenuta racconto epico, che il tempo ha trasformato in leggenda, tra nomi sussurrati come preghiere e un numero inciso nell’anima: quattro a tre.

Le emozioni allo stadio Azteca

Allo stadio Azteca di Città del Messico, davanti a 102.000 spettatori e a milioni di occhi notturni in Italia, si consumò uno dei drammi sportivi più intensi di sempre. Durò 122 minuti, perché servì anche il tempo supplementare più pazzo che il calcio abbia mai conosciuto. Cinque gol solo lì, una serie di emozioni così esplosive da far perdere peso ai giocatori in panchina, come riportarono i giornali del tempo. E ancora oggi, quel giorno, vive nel respiro del tifo, come una canzone che non smette mai di essere cantata. Il primo gol fu di Boninsegna, l’ultimo di Rivera. In mezzo c’è stato il gol beff a di Schnellinger al 90’ che mandò la partita all’extra time, i duelli tra Beckenbauer (che giocò con una spalla slogata) e Gigi Riva, la zampata di Müller, la risposta di Burgnich e ancora Riva, e ancora Müller, e infi ne Rivera. Un’altalena di tensioni, cuore e sudore che andava oltre la tattica, oltre lo sport stesso. Non era una partita, era una battaglia. E come tutte le battaglie memorabili, fu piena di eroi. Albertosi, Burgnich, Facchetti, Cera, Rosato, Bertini, Mazzola, De Sisti, Domenghini, Boninsegna, Riva e poi ancora Rivera e Poletti. Una squadra fatta di uomini, prima ancora che di campioni.

Una gara nella storia

La guerra era finita da appena 25 anni, e i tedeschi sui giornali venivano ancora chiamati “panzer”. Il peso simbolico dell’incontro, dunque, andava ben oltre il campo. Quel 4-3 fu una rivincita morale, civile, culturale, per un Paese che si stava rialzando a testa alta. Un popolo intero si riconobbe in quell’Italia, in quella notte di giugno che profumava di speranza e sudore, vissuta tra le 500 e le piazze, con le radio accese, gli occhi incollati al bianco e nero, il cuore a mille e i finestrini abbassati per cantare insieme. La partita del secolo ha un luogo sacro: l’Azteca. Lo stesso stadio in cui sedici anni dopo Maradona avrebbe scritto un’altra pagina di mito. Ma per noi italiani, quel giorno è unico, è l’origine del nostro racconto sportivo. Così tanto che, proprio in Messico, c’è una targa che ancora oggi ricorda quella notte: “El Estadio Azteca rinde homenaje a las selecciones de Italia (4) y Alemania (3) protagonistas en el Mundial de 1970 del Partido del Siglo”. Non serve traduzione: è un monumento alla memoria collettiva. Perché Italia-Germania 4-3 è stato, e sarà per sempre, il giorno in cui il calcio è diventato eternità.

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