All’inizio fu semplicemente “Piscinin”, il piccolino, adottato bambino dopo un provino negativo all’Inter, da tutto il Milan qui inteso come famiglia calcistica quasi per compensare la perdita drammatica dei genitori durante un incidente stradale. Più tardi, cresciuto senza mai diventare un gigante in altezza ma capace di diventare un autentico mostro di eleganza e bravura tecnica, divenne per la narrazione rossonera “kaiser Franz”, con la minuscola così da entrare nella ristretta cerchia degli eredi naturali di Franz Beckenbauer, icona mondiale del calcio anni Settanta oltre che del movimento tedesco. Di diverso rispetto al suo progenitore ammirato da bambino, Franco Baresi (all’anagrafe Franchino, 8 maggio 1960) ebbe subito il numero stampato sulla schiena: scelse il 6 chissà per quale banale motivo che divenne una sorta di stemma per tantissimi anni, specie poi nella stagione in cui quel numero si trasformò nel simbolo del capitano storico del primo Milan berlusconiano fino alla decisione, inedita per l’epoca, all’atto di chiudere la carriera, di “sospendere” quel numero così da conservarne in eterno il ricordo indelebile. Così volle Silvio Berlusconi, così volle il Milan, così vollero i suoi tifosi. Basterebbero questi semplici dettagli per rendere la storia personale e calcistica di Franco Baresi come unica e inimitabile, a tal punto da conservare un posto d’onore nella grande rassegna dei capitani del Milan partita da Cesare Maldini per passare a Gianni Rivera e quindi proprio a Franco che cedette il suo scettro nientemeno che a Paolo, figlio di Cesare, entrambi capitani e protagonisti dei trionfi di Wembley (1963) e Manchester (2003), la prima edizione della Coppa dei Campioni (dinanzi al Benfica di Eusebio), la seconda Champions League contesa fino ai rigori alla Juventus di Buffon e Lippi. Per anni Franco Baresi non è stato solo il capitano del Milan ma anche il depositario di un “microchip” calcistico invidiato da molti tecnici e criticato ferocemente dai tanti rivali.
Baresi, il Piscinin
Con l’avvento a Milanello di Arrigo Sacchi, il “Piscinin” cominciò a guidare la difesa come una sorta di auto, avanti e indietro con un sincronismo spettacolare a tal punto da provocare qualche mal di testa tra gli assistenti degli arbitri, e lo stordimento degli attaccanti avversari finiti nell’imbuto del fuorigioco. “Alza troppo la manina” schiumarono in tanti per l’abitudine di Baresi di segnalare la posizione di fuorigioco dei rivali scappati ma finiti nella trappola tesa da lui e dai suoi sodali, Costacurta, Tassotti e Maldini, non una difesa ma un’autentica gendarmeria del pallone. Mai una polemica, mai una intemerata, mai una intervista velenosa, mai una mancanza di rispetto: Franco Baresi è cresciuto in un calcio poco disposto alla comunicazione e perciò pronto ad esercitare la propria leadership in modo inedito. A svelarne il contorno di “capitano silenzioso” di quel Milan fu proprio Paolo Maldini, suo successore e ammiratore dello stile. «Franco Baresi ha sempre parlato pochissimo fuori dal campo e nello spogliatoio, ha preferito far parlare il proprio comportamento, l’esempio» la descrizione didascalica scelta da Paolo Maldini diventato più tardi anche capo dell’area tecnica del Milan americano. In Nazionale molti ricorderanno le sue lacrime amarissime - consolate da Raffaele Ranucci, capo delegazione azzurro - dopo la finale di Pasadena Mondiale 1994 e quel rigore volato sopra la traversa: fu una scena tenerissima che diede conto del dramma sportivo vissuto in quella circostanza. Oggi Franco Baresi continua a interpretare il suo “milanismo” con lunghi silenzi e molte partecipazioni a convegni presso istituti scolastici nella versione di vice-presidente-ambasciatore. Non è una semplice posizione di rendita ma la conferma, pubblica e solenne, che si può esercitare ancora il ruolo di capitano molti anni dopo aver smesso una carriera colma di successi, di mani alzate e di corse in avanti per ricacciare indietro gli attacchi altrui. Dell’attuale Milan americano è il vice-presidente onorario perché difende, con la sola presenza, come in occasione della festa per i 125 anni del club, l’onore e la storia del Milan. Chissà se mai qualcuno riuscirà a raggiungere i suoi numeri, a collezionare i suoi trofei e soprattutto a ripetere i suoi rispettosi silenzi. Di recente ha scritto un paio di libri che tendono a scolpire la prestigiosa carriera e la fedeltà ai colori. Operazione indispensabile per salvare la memoria di un capitano che non sarà mai ricordato soltanto per quella fascia portata al braccio.