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La doppia vita di Javier Zanetti

La lunga storia di un capitano che ha sposato la società per sempre: l’argentino disse no al Real per restare a Milano

Da piccolo era stato scartato dall’Independiente. «Troppo magro e gracile», recitava il report dopo tanti anni passati nel vivaio del club di Buenos Aires. Javier Zanetti è il prototipo del campione vero, del professionista totale. Mentre Zidane disegnava magia, Totti andava di cucchiaio, Ronaldo metteva il turbo, Batistuta segnava a raffica e Beckham batteva punizioni al limite dell’impossibile, lui correva e non si fermava mai. Lì dove non arrivava la classe, c’erano muscoli scolpiti nel marmo e la “garra” di chi ha dovuto lottare per arrivare dove è arrivato. La vita di Javier parte in salita. Subito sliding doors: appena nato era sul punto di morire per un problema respiratorio. «Se lo salva, lo chiamo come lei», disse la madre di Zanetti ad Adelmar, il nome del medico. È per questo che Zanetti si chiama Javier Adelmar. Dopo la porta chiusa in faccia dall’Independiente, Javier si mette a lavorare con il padre nei cantieri, smette con il calcio, ma poi supera un provino e accetta la proposta del Talleres su input del fratello Sergio. La mattina consegnava il latte, il pomeriggio e la sera si allenava. Diventa una colonna e di seguito viene ceduto al Banfield, dove passa due stagioni con la maglia numero 4 prima di essere portato in Italia dall’Inter.

Zanetti, l'arrivo a Milano

Zanetti mette piede a Milano agli albori dell’era Massimo Moratti. «Primissimo allenamento, facciamo possesso palla. Lui non la perde mai, gli resta sempre incollata al piede. Quel giorno pensai che avrebbe fatto la storia dell’Inter», parola di Beppe Bergomi ricordando l’impatto con quel ragazzino arrivato sotto traccia dall’Argentina insieme al connazionale Sebastian Rambert, professione attaccante. Zanetti non fu nemmeno riconosciuto dai giornalisti che andarono alla presentazione. Del resto, era il colpo minore. Rambert, alla fine, fu una meteora nel mondo nerazzurro (ceduto già a dicembre), mentre Zanetti scrisse pagine di storia, diventando la bandiera dell’Inter e un vincente.

Zanetti, vittorie e record

Il palmarès parla da solo: 19 anni d’amore conditi da 16 trofei. Non solo. Detiene praticamente tutti i record immaginabili per chi ha indossato la maglia interista: l’ha fatto 858 volte, per 73.284 minuti, 160 volte in Europa, 47 nel derby. Numeri praticamente irraggiungibili per un ragazzo arrivato a 22 anni con le scarpe in un sacchetto di plastica e salutato a 41 anni dalle lacrime di chi era a San Siro per rendere omaggio al tramonto di una carriera fenomenale.

Zanetti, campione vero

Dietro alle sue galoppate, dietro a ogni contrasto, ci sono sedute di allenamento fuori dai canoni dei comuni mortali. Chiedere informazioni alla moglie Paula de La Fuente, conosciuta la prima volta quando erano poco più che bambini. Il giorno del loro matrimonio, infatti, Javier non solo si allenò, ma rischiò anche di fare tardi alla cerimonia per dire sì. Sempre corretto (tre rossi), esemplare, con il medesimo sorriso e lo stesso taglio di capelli, la sua ossessione. «Ho una mania, a nessuno permetto di toccarmi i capelli. Tenerli in ordine mi dà sicurezza», ha ammesso Zanetti. Segnava poco, non era il suo mestiere fare gol, ma il più significativo e bello è stato quello realizzato in finale di Coppa Uefa contro la Lazio. I trofei sono arrivati dopo stagioni difficili, in cui l’Inter sfiorava o al massimo accarezzava la gloria. Negli anni d’oro, quindi, festeggia cinque scudetti, quattro Coppe Italia, un Mondiale per Club e una Champions League, sollevata al cielo di Madrid. Champions che tra l’altro fa rima con Triplete. «Il suo passaporto deve essere sbagliato. Non può avere 36 anni, al massimo ne ha 25 o 26», disse Mourinho nel 2010 riferendosi al suo capitano, che il giorno della finale contro il Bayern Monaco raggiunse le 700 partite in nerazzurro. I tifosi lo omaggiarono con uno striscione speciale: «Hai detto di no al Real per restare con noi a Milano: 700 volte grazie capitano». Il riferimento è al mancato passaggio al Real Madrid: Zanetti, infatti, rifiutò l’offerta dei Galacticos sposando il progetto Inter a vita. Ha cambiato tanti ruoli, ma viene ricordato da terzino. Negli ultimi anni badò sempre di più alla fase difensiva, senza però dimenticare come fare male dal centrocampo in poi: un gol alla Roma valse uno scudetto, un assist a Milito a Siena fu decisivo per conquistarne un altro. Zanetti si ritira dal calcio giocato a 41 anni senza rimpianti e ammette: «Mi sento completo e realizzato: ritirarsi alla mia età è una sensazione impagabile. Per me è una cosa che ha un valore immenso, e ora è arrivato il momento giusto». Esce di scena da leggenda, tanto che la maglia numero 4 viene ritirata. Ora Zanetti è vicepresidente dell’Inter. Insomma, quel legame non si è mai spezzato, anche se adesso il lavoro lo svolge dietro una scrivania.

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