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Jacobs, all’Europeo per battere soprattutto gli scettici

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Autunno del 1991. A Dublino si giocava la semifinale della Coppa del Mondo di rugby tra gli All Blacks e i Wallabies australiani e sulle grigie tribune del vetusto Lansdowne Road comparve uno striscione: “Non sarete mai campioni del mondo, se non batterete gli Springboks”. L’avevano issato alcuni tifosi del Sudafrica, bandito dallo sport planetario per la sua politica dell’apartheid. Ecco, oggi ci piace riprendere quella frase e sintonizzarla sull’attualità: “Non sarete mai campioni del mondo, se non batterete Marcell Jacobs”.

Jacobs, c’è una luce in fondo al tunnel

Lunedì sarà un anno da quell’indimenticabile 1 agosto che ha cambiato la storia dell’atletica e dello sport italiano. La serata di Tokyo illuminata dall’abbraccio di due freschi campioni olimpici: Jacobs, appunto, e “Gimbo” Tamberi. Da allora Marcell, va ricordato, è imbattuto, se escludiamo l’inutile batteria iridata di Eugene, corsa a mezzo servizio. E’ vero, ha gareggiato col bilancino, specie all’aperto, ma a Belgrado s’è preso l’oro mondiale dei 60 indoor a suon di record europeo, umiliando ancora gli sprinter a stelle e strisce. Poi la fortuna gli ha presentato il conto. Così, nel tritacarne della nostra frenetica esistenza, Jacobs è già stato consegnato alla preistoria. Persino da certa critica di casa nostra, che ha fatto propri i dubbi di quanti (statunitensi, britannici) un anno fa non accettarono le sconfitte (100 e 4x100) inflitte loro dagli “Italians”. Nulla di nuovo sotto il cielo anglosassone.

Jacobs e l'infortunio all'adduttore: prosegue il percorso di riabilitazione

“Non sarete mai campioni del mondo, se non batterete Marcell Jacobs”. Il primo a saperlo è Fred Kerley, l’oro di Eugene, che ha twittato all’azzurro auguri pronta guarigione nella speranza di incontrarlo, e batterlo, nei prossimi meeting della Diamond League. Ma l’orizzonte temporale di Marcell non è così ampio. Lui in queste ore lavora, e rischia, unicamente per regalare all’Italia un oro che in 88 anni ha brillato sul collo di un solo azzurro: Pietro Mennea. Un oro che, nel depresso panorama della velocità europea, potrebbe arrivare con un tempo appena inferiore ai 10 secondi, perdipiù correndo solo semifinale e finale. Un oro che nulla aggiungerebbe al suo palmarès. Ma sarebbe il premio più bello alla sua resilienza e avrebbe il potere di zittire i rivali più subdoli: i campioni olimpici del “Ve l’avevo detto”.

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