Che Eddy Merckx fosse quasi visceralmente legato al nostro Paese è cosa nota, e oggi che dopo le grandi classiche del Nord ci avviciniamo al 108esimo Giro d’Italia (partenza da Durazzo in Albania il 9 maggio, arrivo a Roma dopo passeggiata nei Giardini Vaticani il primo giugno), apertura della stagione più avvincente del ciclismo, quella delle grandi corse a tappe, la conferma ci arriva dalle celebrazioni in programma per gli 80 anni del Cannibale. Da oggi al Museo del Ghisallo di Magreglio, sopra Bellagio (Como), è aperta la mostra dedicata al campione belga, nato il 17 giugno 1945, visitabile fino al 30 settembre 2025.
Su Raisport, invece, giovedì 8 maggio (dalle 22.30) andrà in onda il docufilm di Franco Bortuzzo “I tre sarti del Re”, dedicato a tre grandi artigiani delle due ruote -Faliero Masi, Ernesto Colnago, Ugo De Rosa - che hanno ideato e realizzato le biciclette vincenti del campione belga. Un lavoro con immagini e reperti inediti pescati negli inesauribili archivi della Rai, utili a comprendere chi davvero sia stato Eddy Merckx e perchè si sia affidato al genio italico per realizzare i suoi più importanti successi.
Una dittatura
Gli 80 anni del Cannibale offrono lo spunto per l'ennesimo confronto con un suo erede potenziale, forse il primo che in mezzo secolo di corse regga lo scomodissimo paragone, lo sloveno Tadej Pogacar. Stiamo parlando di due giganti del ciclismo, per una sfida virtuale ma appassionante, grazie alla crescita impetuosa dell'ancor giovane (ha solo 26 anni) campione sloveno, protagonista di una cavalcata sorprendente, per uno sport che ormai sembrava votato allo specialismo, che ha riportato milioni di appassionati al ciclismo delle imprese eroiche di Eddy Merckx, detto il “Cannibale” per la sua insaziabile fame di vittorie (a fine carriera saranno 525) e il carattere arrogante con cui asfaltava gregari e avversari, cui non lasciava nemmeno le briciole. Va detto, un fenomeno su tutti i terreni e in qualsiasi condizione, in volata, a cronometro, in discesa, sul passo e perfino in salita nonostante il fisico possente. Vinceva ed entusiasmava, perché andava sempre all'attacco. Una dittatura con cui hanno dovuto fare i conti grandi campioni, i primi degli umani, a cominciare dal nostro Gimondi.
Il Cannibale non faceva sconti, né concedeva pause, né faceva regali: era la regola, prima lui, molto dopo il resto del mondo. Un quindicennio di successi che cominciò a tramontare dalla metà dei Settanta, quando Gimondi gli strappò un Giro d'Italia (1976).
Chi il migliore?
Non è facile paragonare due fenomeni di epoche differenti e caratteri molto diversi. Pogacar è un campione sempre con il sorriso. A 26 anni, ha già vinto tantissimo (95 successi, 3 Tour, 1 Giro d’Italia, 1 campionato del mondo, 9 classiche monumento come Coppi, Girardengo e Kelly), ma non ha perso la gentilezza. Le sue cavalcate, brutali quanto quelle di Merckx, trasmettono in realtà leggerezza e umanità. Quasi impossibile stabilire chi sia il migliore, anche perché all'epoca di Merckx si correva di più. Però Pogacar il marziano è onnipresente, nelle corse di un giorno e nei grandi giri, poi te lo ritrovi anche al Mondiale. I suoi avversari, invece, si alternano. Van der Poel ed Evenepoel nelle Monumento, Vingegaard, Thomas e Roglic nelle corse a tappe. Pogacar ha una caratteristica, la sua strategia è perfino banale: quando il gioco (la strada) si fa duro, lui attacca. Ogni tanto qualcuno riesce ad andargli dietro, solitamente gli avversari si rassegnano a vincere la corsa degli umani.
Un po' d'Italia
A proposito, tra gli umani doopo stagioni un po' deprimenti anche i nostri provano a rialzare la testa. Federazione (presidente Cordiano Dagnoni) e Lega professionistica (l'onorevole Roberto Pella) provano a fare sistema. Il Giro d'Italia resta un passo (e forse qualcosa in più) dietro il Tour de France, non ci saranno né Pogacar né Vingegaard, e questo potrebbe aprire scenari interessanti per gli italiani. L'abruzzese Giulio Ciccone si candida a un ruolo da protagonista, lui che è corridore temibile nelle corse di un giorno (splendido secondo alla Liegi), ma anche nei grandi giri, considerate le doti da scalatore (nel 2019, fu leader della montagna): una polivalenza che alla vigilia della partenza da Durazzo instilla il dubbio se punterà a qualche successo di tappa o alla classifica finale. Il ct azzurro Marco Villa, cui è stato affidato il rilancio del ciclismo italiano su strada dopo aver vinto tutto su pista, gli ha già indicato la via: "Giulio sfrutti la sua eccellente condizione all'inizio per indossare la maglia rosa, poi si vedrà". Intanto, è tornato al successo Elia Viviani, nel Giro di Turchia. Novantesima affermazione. Non vinceva da ottobre 2023. "Spero sia la prima di tante quest'anno". Forza.