Alle 7.40 il sole già scotta e lo Stretto di Messina brilla. E’ giorno di traversata a nuoto. Uno dei tanti giorni, perché se un tempo era una cosa eccezionale ormai è consuetudine. Se prima la faceva chi aveva dimestichezza col nuoto in acque libere, aspiranti o mancati Paltrinieri, oggi la traversata la può fare chiunque. Io non ho nessuna intenzione di cimentarmi, specie da quando, qualche settimana fa, uno squaletto mansueto ed enorme si è avvicinato a capo Peloro a sguazzare tra i bagnanti a riva. Dicono che fosse uno squalo buono, non aggressivo, che non mangia gli umani, ma sempre di squalo si tratta e trovarselo davanti non deve essere divertente. A nuoto quindi no, ma su un gozzo sì. I primi ad arrivare sono quattro messinesi che si sono aggregati al corposo gruppo di romani. Chiedo ospitalità e la trovo sulla barca che affianca la numero 4 assegnata a Silvano Martella ed Enrico Vinci, avvocati nella vita, ciclisti e maratoneti per passione. La sfida scorre loro nelle vene, dai tribunali alle correnti dello Stretto è un attimo.
Ci imbarchiamo sulla riva alla destra del pilone che troneggia come la una piccola “Tour Eiffel”, memoria di un tempo in cui la Sicilia era collegata al Continente dai fili dell’elettricità che andavano dal pilone di Cariddi a quello di Scilla. Il pilone ai messinesi piace anche se di bello ha soprattutto la memoria, appunto, e rappresenta la città quanto l’orologio astronomico del Duomo, il più grande, antico e complesso al mondo, sopravvissuto al terribile terremoto del 1908 che ha raso al suolo la città. Il gozzo su cui ho trovato posto lo comanda Andrea e ospita anche due signore, le mogli di Silvano ed Enrico, fotografe e motivatrici. Nella traversata senza pretese la sfida è soprattutto con se stessi, oltre che con le correnti quasi sempre impetuose. Silvano, che di gare è esperto, ma in bici o sui piedi, è agitato. Si è dato un tempo: un’ora e quindici minuti. Enrico invece è uscito di casa dicendo “chi me lo ha fatto fare”.
Via mare raggiungiamo la “Punta”, dove lo Jonio incrocia il Tirreno e il mare ha colori cangianti che vanno dal verde smeraldo, al blu notte, dove le correnti ti portano via e dove una volta farsi il bagno era come una seduta di crioterapia, ormai anche qui l’acqua è calda e sono sparite le meduse. Lo stesso, i nuotatori si sono cosparsi di oli e creme repellenti. Gli equipaggi sono dieci. L’organizzatore col cappello di paglia, Giovanni, sul suo barchino fa una corsa verso il centro dello Stretto per sondare le correnti e scegliere la rotta più agevole. E’ una giornata propizia, la rema è leggera, non è contraria, sposta leggermente verso Villa San Giovanni, niente di che “al massimo andiamo in chiesa a Cannitello”, dice Giovanna, la moglie di Silvano. La località Cannitello in Calabria è dirimpetto al Faro in Sicilia, le chiese delle due sponde si somigliano e si guardano. Andrea, il comandante del gozzo su cui navighiamo, racconta la sua storia: è nato in Australia, i suoi genitori erano emigrati lì, poi quando lui aveva cinque anni sono tornati a Messina e non se ne sono più andati, perché il papà aveva buttato le reti e tirato su tanto di quel pesce che non si capacitava come fosse possibile che i messinesi non sfruttassero quella ricchezza. E’ rimasto a fare il pescatore, ma non ha voluto che il figlio Andrea lo facesse. “Voleva che studiassi”, dice. E lui ha studiato per andare poi, non come pescatore, lo stesso per mare.
Pronti via, alle 9,20 i nostri assistiti si tuffano dalla riva siciliana e via, direzione Calabria. Tutte le navi da crociera possibili, alte come mostruosi grattacieli tozzi, sono già passate, lo Stretto è nostro. La Punta di Messina si allontana e la costa calabrese si avvicina. Enrico è davanti e batte un ritmo costante, preciso e meticoloso, sembra non fare nessuna fatica, prende aria ogni due bracciate e taglia l’acqua con le mani con morbidezza, la accarezza. Silvano si mette in scia, l’aria la prende ogni tre bracciate, schiaffeggia l’acqua, è infastidito da qualcosa, forse dagli scarichi della scialuppa che li accompagna. Silvano ed Enrico non si fermano mai, non chiedono né pausa né acqua, vanno più veloce del previsto, alzano la testa solo per domandare a che punto sono arrivati. Le signore fanno foto e tifo e mentono sul percorso mancante, “dai, 500 metri ancora”, e Andrea se la ride “saranno almeno mille”.
Mentre rimpicciolisce il villaggio del Faro sulla costa siciliana, ingigantisce la spiaggia di Cannitello via via che si avvicina. Silvano ed Enrico accelerano, la barca numero 4 non è l’ultima, forse chiude quinta, e l’ora e passa che gli avvocati avevano stimato si è rivelata sbagliata: la loro traversata è durata 56 minuti alla fine. I giudici federali segnano il tempo di ogni partecipante, che per un amatore, dilettante, è già record. La sfida con se stessi è vinta. La felicità che sprigiona l’impresa è bellezza nella bellezza dello Stretto di Messina.