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Giorgio Napolitano, due volte re

Giorgio Napolitano, due volte re ANSA

Per nove anni Presidente della Repubblica, l’unico nostro Capo di Stato ad aver assistito alla cerimonia di apertura di un’edizione dei Giochi Olimpici, a Londra 2012

Quando ho conosciuto Giorgio Napolitano - breve, ma intenso incontro al Quirinale - ero immerso nella napoletanità. Scrivevo per il Roma, m’inventavo i Tre Tenori (Lavezzi, Hamsik e Cavani), a Canale 34 difendevo Edy Reja e cantavo “Oje vita, oje vita mia” con Guido Lembo. Mi disse «La leggo da anni» e io non ebbi dubbi e - da improvvisato suddito - mi pavoneggiai: «In questa stagione canto il suo Napoli!». Fece in modo che ci isolassimo un momento: «La capisco, ma devo deluderla: io tifo Lazio, con tutta la famiglia. Viviamo a Roma da tanti anni, siamo praticamente apolidi…». Un sorriso, una stretta di mano, ero compiaciuto di un incontro che anni prima - tanti, era il 1956 - avrei affrontato con l’ardire di un sanculotto pronto a scannare il re. Già, Re Giorgio come lo chiamarono - anche spettegolando per la sua somiglianza con Umberto di Savoia, il re esule - dopo l’allontanamento dal partito che l’aveva invitato - o costretto - ad applaudire i carrarmati sovietici che entravano a Budapest. Lui - Napolitano - era in Parlamento, col suo elegante principe di Galles, borghesissimo leader del Partito Comunista, e difendeva l’iniquo diktat di Molotov, ultimo rappresentante dello stalinismo, mentre Kruscev ne denunciava le malefatte; io a Livorno, liceale al Niccolini, e guidavo una sommossa di studenti con bandiera tricolore fino a Piazza Garibaldi. Per questo non lo persi mai di vista, quel politico elegante, istruito, a volte freddo e affascinante come un Beria ma rispettato e temuto fino a diventare presidente della Camera.

Gli inizi della vita politica

La sua ambigua personalità mi spinse a conoscerlo meglio e lo ritrovai quando nel 1942, allievo di giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli, era entrato a far parte del GUF (Gruppo Universitario Fascista) scrivendo di teatro sul settimanale IX Maggio. Era la sua passione fin dagli anni del Liceo Umberto I che frequentava con Francesco Rosi, Raffaele La Capria, Luigi Co mpagnone e Antonio Ghirelli. Seppi più tardi, quando incontrai Ghirelli direttore del Corriere dello Sport, che i fatti d’Ungheria li avevano separati, Antonio aveva lasciato il Pci e aveva scelto lo sport per essere libero. Ma proprio con l’amico direttore - non l’ho avuto maestro ma prezioso veicolo di storia e cultura - scoprii il primo “passaggio” di Napolitano dal GUF dei Quaranta al gruppo di giovani intellettuali comunisti che fecero rientrare nel ‘44 dall’URSS a Salerno il compagno Ercole Ercoli meglio noto come Palmiro Togliatti: era un momento di confusione e fra quei rivoluzionari era finito anche “l’anarchico di destra” Leo Longanesi di Bagnacavallo - il super maestro di alcuni di noi - per il quale la Svolta di Salerno rappresentava - come per Napolitano - un accordo fra la sinistra e la monarchia per salvare l’Italia. E mentre Giorgio, d’origine nobile, già rappresentava l’ala intellettuale della sinistra napoletana, il romagnolo Leo si ritraeva indossando una sdrucita divisa da soldato sconfitto e una bandierina tricolore in testa con la scritta “Tengo famiglia”.

Primo nella storia a essere eletto per un secondo mandato

Il passaggio successivo di Napolitano dal Pci pugnace e settario al riformismo democratico avvenne in tempi diversi sotto la guida “illuminata” di Giorgio Amendola e se nel ‘74 condannava ancora le opere di Aleksandr Solženicyn di lì a poco si ritrovava nell’area del riformismo fra i “miglioristi” che l’avrebbe portato all’incontro decisivo con Enrico Berlinguer e le sue idee. Divenne europeista e si staccò dall’URSS condannando l’invasione dell’Afghanistan. Così come Ghirelli aveva condannato quella dell’Ungheria. Trent’anni prima. È dunque stato l’Altro Napolitano il Presidente della Repubblica degli Italiani dal 15 maggio 2006 al 14 gennaio 2015. E il primo nella storia della Repubblica a essere eletto per un secondo mandato. Come Mattarella. Stiamo parlando di quei protagonisti della vita politica del Paese - a volte contraddittori - che proprio Longanesi definì “Vecchi Fusti”. Desiati e rispettati in vita, rimpianti in morte.

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