ROMA - "Piloti, che gente” è il titolo del famoso libro nel quale Enzo Ferrari tratteggiava, con ironia ed acume, il profilo dei Leoni della Formula 1, mettendone in risalto abitudini, bizzarrìe, stravaganze e manìe. Ma anche sui portieri di calcio si potrebbero scrivere trattati. Chi ha cinquant'anni ricorderà senz'altro la maglia giallo limone numero 8 di Jongbloed o l'atteggiamento spavaldo di Jan Tomazewski (definito dall'allenatore Brian Clough “un clown da circo con i guanti” in diretta tv) che seguiva con nonchalance le partite della Polonia appoggiato al palo della sua porta, come un passante osserva i lavori della metro; chi ne ha quaranta avrà ancora nella testa i siparietti di Grobbelaar, le sue danze sulla linea di porta per distrarre i rigoristi, o quella volta che chiese un ombrello ad uno spettatore per ripararsi dalla pioggia; i più giovani, poi, sono cresciuti con la “mossa dello scorpione” di Higuita e le magliette psichedeliche di Jorge Campos. D'altra parte, da sempre illustri personaggi della cultura e famosi studiosi universitari si chiedono cosa spinga un bambino a scegliere quel ruolo così particolare, per molti versi ingrato, a distinguersi così nettamente da tutto il resto della squadra. Una risposta precisa non è ancora arrivata, ma una cosa è certa: il portiere di calcio, questo strano animale, in moltissimi casi è un personaggio unico, stravagante, eccentrico.
Ecco solo alcuni esempi.
In principio fu Ricardo “El divino” Zamora che, si diceva, fosse in grado di “ipnotizzare” gli avversari e costringerli a tirare dove voleva lui. In realtà, la sua figura era in grado di incutere terrore sia agli avversari, sia ai suoi stessi difensori, che apostrofava spesso in modo duro. Sicuro è che durante i Mondiali del '34 stava per far nascere un caso, sarebbe forse meglio dire “caos”, diplomatico di proporzioni inimmaginabili quando bloccò lo squadrone azzurro, atteso in finale da Mussolini, sull'1-1. La partita venne ripetuta il giorno successivo (all'epoca i tempi di recupero fisico per i giocatori non erano contemplati) e l'Italia passò, soprattutto perchè Zamora non si presentò...
Protagonista assoluto in piena epoca di Guerra fredda fu invece Lev Yashin, detto il “ragno nero”, non tanto per la divisa d'ordinanza (quasi d'obbligo all'epoca), quanto per le sue lunghe leve. Entrato in fabbrica giovanissimo per ripercorrere le orme paterne, era in grado di "parare" i bulloni e gli utensili che i suoi compagni di lavoro erano soliti lanciargli per gioco. Unico portiere finora ad essersi aggiudicato il prestigioso “Pallone d'oro”, Yashin era temuto e rispettato in campo, ma fuori era un gentleman dai modi cortesi ed educati. La Dinamo, inizialmente, lo impiegò come portiere di hockey su ghiaccio (dove i russi andavano fortissimo) e nel 1953 arrivò lo scudetto. L'anno seguente Lev fu chiamato a sostituire il portiere titolare, che si era infortunato e da lì cominciò a collezionare una lunga ed incredibile serie di trofei e di record. Di Yashin si ricordano i due cappelli che portava sempre in campo (il primo veniva indossato regolarmente, il secondo giaceva dietro alla porta) ed il quadrifoglio che coglieva nei pressi della sua porta dopo ogni rigore parato. Ma se questa era solo una leggenda, un dato di fatto rimangono gli oltre 150 rigori neutralizzati in carriera, compreso quello parato a Sandrino Mazzola in Italia-Russia del 10 maggio 1963 (qualificazione agli Europei di Spagna).
Poi vennero gli Anni '70. Nel mondo cambiò un po' tutto ed anche il ruolo del portiere (nel suo piccolo) subì significative rivoluzioni, a cominciare dalla posizione in campo dell'estremo difensore. Così, nell'Olanda del “calcio totale” di Crujff, Neeskens e dei fratelli van de Kerkhof ci fu spazio anche per Jan Jongbloed, per i suoi maglioni gialli numero 8 (in realtà non una sua stravaganza questa, ma solo una decisione della Federazione che, per i Mondiali del 1974, assegnò i numeri in ordine alfabetico, eccezion fatta per il divino Johan, che si tenne il suo caro 14) e per il suo ruolo, in pratica, di libero aggiunto. Anche perchè, diciamocelo, Jan non brillava certo per statura. Il suo fisico tarchiato lo portava spesso a preferire l'uso dei piedi nel confronto con gli attaccanti e in quella Olanda ebbe buon gioco. Fino alla convocazione in nazionale, giunta peraltro molto tardi, Jan gestiva la tabaccheria di famiglia ed aveva una grande passione per la pesca.
Un altro che non riusciva a stare tra i pali (a volte anticipava gli attaccanti colpendo la palla di testa fuori area) era Pier Luigi Pizzaballa da Bergamo, ribattezzato il “portiere volante” a causa delle sue uscite spericolate. Si, Pizzaballa, proprio lui, quello della famosa ed introvabile figurina Panini, quasi un Gronchi rosa, che faceva sognare i bambini che giocavano a sottomuro e creavano favolose leggende su quel prezioso talloncino adesivo. Cresciuto, come molti in quei tempi, all'oratorio fu... costretto a giocare tra i pali perchè era il più piccolo del gruppo. Qualcuno gli disse che, con quel cognome, non avrebbe mai avuto successo. Forse non i successi di Yashin, certo, ma qualche soddisfazione il nostro Pier Luigi da Bergamo se l'è tolta, come quella di giocare fino a quarant'anni a buoni livelli. Nella sua carriera ha vinto due volte la Coppa Italia (una con l'Atalanta ed una con la Roma) ed ha vestito la maglia azzurra nell'amichevole Italia-Austria del 18 giugno 1966. E' stato anche il portiere dei record, a suo modo: una volta parò due rigori in due minuti a Picchio De Sisti ma dieci anni prima, nella famosissima Atalanta-Fiorentina 1-7, era riuscito a prendere ben cinque reti dallo stesso giocatore, Kurt Hamrin. Una gioia per tutti gli appassionati di statistiche.
Assolutamente diversa la figura di Bruce Grobbelaar, pittoresco portiere del Liverpool Anni '80. Nato come giocatore di cricket, ad un certo punto sembrava che il baseball dovesse essere il suo futuro. Ebbe addirittura offerte dagli States per giocare e perfezionarsi lì. Approdato al calcio in una piccola squadra dello Zimbabwe e trasferitosi poi in Canada, Grobbelaar giunse in Inghilterra grazie ad un talent scout del Liverpool. Tutti ricorderanno il set completo di siparietti che Bruce riuscì a metter su durante la finale di Coppa Campioni tra Roma e Liverpool per distrarre gli avversari. Il buon Bruno Pizzul, che certo doveva averne raccontate di tutti i colori in tanti anni di onorata carriera, era basito: "Prima del rigore di Bruno Conti – racconta lo stesso Grobbelaar – ho afferrato la rete coi denti e l'ho tirata. Conti ha sbagliato ed ho pensato: allora funziona! Sul rigore di Graziani ho avuto un'illuminazione ed ho visto i fili della rete come tanti spaghetti intrecciati, d'altra parte eravamo in Italia... Così ho pensato alle mie gambe come due spaghetti ed ho cominciato a danzare, la famosa "spaghetti legs". Ehi, Bruce ne sta facendo un'altra delle sue! dissero i miei compagni dandosi di gomito a centrocampo". I suoi atteggiamenti, a volte divertenti, spesso decisamente sopra le righe, non piacevano sempre a tutti, ma Bruce era solito rispondere: "Per chi ha combattuto nella guerra civile in Rhodesia, una partita di calcio è solo una partita di calcio". Amen.
L'epoca più recente è senz'altro appannaggio di Jorge Francisco Campos Navarrete, José Luis Felix Chilavert Gonzalez e Josè Renè Higuita Zapata, i tre “locos” anche se, a voler essere pignoli, il titolo appartiene al solo Higuita. Campos figura negli annuari del calcio sia come portiere, sia come attaccante. In alcune occasioni ha ricoperto entrambi i ruoli, anche nella medesima partita. Così, per i Mondiali del '94 (mancando una regola chiara in tal senso) la FIFA stabilì che il c.t. messicano Lapuente lo avrebbe potuto schierare esclusivamente come portiere. Non contento, Campos cominciò a disegnarsi le divise di gioco, saturandole con colori sgargianti e trame a dir poco psichedeliche, diventando così uno dei calciatori più amati e seguiti dai tifosi. Ma, nonostante ciò, la FIFA frustrò anche questa sua iniziativa, impedendogli di utilizzare quelle magliette nel Mondiale di Francia '98. Decisamente più... sobrio Chilavert, a lungo il portiere con più gol all'attivo nella storia del calcio (54 gol nelle squadre di club e gli 8 in Nazionale così suddivisi: 45 su rigore, 15 su punizione e 2 su azione). La cosa buffa avvenne il 27 agosto del 1989, prima partita in Nazionale contro la Colombia di René Higuita, qualificazioni per la Coppa del Mondo. Le squadre erano ferme sull'1-1, ma all'ultimo minuto viene fischiato un rigore per il Paraguay. Chilavert lo trasformò, beffando così il collega. Higuita, coi suoi 172 cm non era certo il prototipo del portiere dal fisico imponente, ma coi suoi baffi, i capelli lunghi e indemoniati ed uno sguardo poco raccomandabile si faceva rispettare comunque. Anche lui portiere-goleador, era però ben più famoso per la “mossa dello scorpione”, che consisteva nel tuffarsi in avanti e respingere la palla, a tacchi uniti, dietro la schiena. Anche René, nel suo piccolo, aveva sogni repressi da attaccante. Quando la palla arrivava dalle sue parti, si improvvisava libero. Spesso gli andava bene. Ma quella volta, nel duello con Roger Milla a Italia ’90, la combinò davvero grossa. Milla sta ancora ridendo. Queste, purtroppo, non sono state le uniche follìe di Higuita. Nel 1993 si fece sette mesi di carcere per essersi improvvisato “mediatore” nel sequestro di un bambino, senza neanche avvisare la polizia; undici anni dopo, in un test antidoping, risultò positivo alla cocaina e venne squalificato. Dal 2012 è preparatore dei portieri dell'Al-Nassr (Arabia Saudita). Chissà se, almeno lì, sarà riuscito a mettere la testa a posto.