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Streetfoot: Mostrateci dove giocano i vostri bambini

Una riflessione e una ricerca che partono da un'immagine piena di romanticismo: inviateci foto o video dei vostri "campetti" all'indirizzo facebook (@corrieredellosport)

ROMA - «Non credo che nessuno ormai si stupirebbe se un bambino gli chiedesse a cosa servono i palloni incastrati sotto le marmitte, a ricordare quando fuori si giocava fra le 127. Che vita!». Versi illuminanti, questi di Samuele Bersani, per capire come è cambiato il mondo e come è cambiato il calcio, che del mondo e della vita è metafora e rappresentazione epica. E sembra passato un secolo da quando le partite duravano ore nei campetti degli oratori, dove gente come Rivera o Boninsegna ha iniziato a fare sogni tinti d'azzurro e ad assumere le sembianze dei futuri campioni poi entrati nella leggenda. Oppure nelle strade o nei parchi sotto casa, quando si iniziava più o meno dopo pranzo e invece del triplice fischio di un arbitro a decretare la fine erano le grida delle madri, che al tramonto richiamavano i figli per la cena spesso invano, perché i bambini sono sempre avanti ai grandi - persino alle 'teste grigie' della Fifa - e il 'chi segna questo ha vinto' altro non era che una primordiale idea di 'Golden gol'. Ginocchia sbucciate, scarpe rotte, sassi in volo ad ogni tiro, linee e porte immaginarie segnate dai confini della piazza, o da un paio di giacche buttate a terra e rese mobili dai portieri di turno non appena il gioco si spostava al di là del monumento ai caduti o della statua di Mazzini o Garibaldi.

INVIATECI LE FOTO O I VIDEO DEI VOSTRI "CAMPETTI"

Zero schemi e fantasia al potere, la stessa fantasia soffocata ora da magliette griffate e scarpini colorati, campi in sintetico, tatticismo e atletismo esasperati fin dalle scuole calcio. Fame e istinto, l'arte di arrangiarsi e di improvvisare strategie per arrivare alla gioia inseguita col pensiero sui banchi di scuola la mattina e sotto le lenzuola di notte: il gol, magari in un derby, magari con la maglia della Nazionale. Già, perché nel calcio di strada, quella specie di poetico e romantico 'Streetfoot' che ha regalato al mondo i Garrincha, i Maradona o i Cassano solo per citarne alcuni, non c'era solo l'avversario da dribblare. Il cammino verso il gol della vittoria era pieno di ostacoli: vecchiette pronte a entrare 'a borsetta tesa' per vendicare una calza smagliata da una pallonata, cani pronti ad affondare i denti nella camera d'aria di una sfera di cuoio da difendere come il sacro Graal. E ancora panchine, fontanelle e vicini imbufaliti per un vetro rotto. Ma ai piccoli 'gladiatori' di turno sembrava comunque di essere al 'Maracana' o al 'Bernabeu', nella loro testa risuonava la voce di Nicolò Carosio, Nando Martellini o Sandro Ciotti in una cronaca immaginaria delle loro gesta. E quando si segnava ci si abbracciava, senza scimmiottare i vezzi delle viziate star di oggi.

E oggi? Oggi persino Nino avrebbe paura di tirare un calcio di rigore se dovesse farlo in mezzo a cumuli di spazzatura, stordito dal traffico e soffocato dallo smog. E' vero, ci sono le 'academy', spogliatoi confortevoli e specchi per ingelatinare i capelli alla Beckham o alla Cristiano Ronaldo, i terreni di nuova generazione e i palloni in microfibra per chi se li può permettere. E gli altri? Di certo troveranno uno spazio, un modo per disegnare un campo immaginario e seguire l'istinto primordiale di calciare un pallone, di pensare con i piedi. Sì, perché la fantasia e il pensiero sono come l'oceano: non li puoi bloccare...

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