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Scuola Napoli, quella gioventù bella e vincente

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Nei segreti di una progettualità che determina la differenza

NAPOLI - Diawara: 19 anni (e qualche giorno); Rog: 22 anni (e qualche giorno); Zielinski: 23 anni (e due mesi); Milik: 23 anni (e sei mesi); Hysaj: 23 anni (e mezzo). Ma si potrebbe continuare e ragionevolmente ricordarsi che Koulibaly e Maksimovic, Allan e Ghoulam, Insigne e Jorginho appartengono alla fantastica scuderia del ‘91, ventisei anni che si fa fatica a considerare vecchi. Questo è un paese per giovani, la scelta mirata (da 13 anni in qua) di scovare nell’universo calcio il talento su quale puntare e poi lavorare, fiduciosamente, incuranti d’una tempistica che ha un domani indefinito: benvenuti a Napoli, la città dei ragazzi, un’onda verde dalla quale lasciarsi cullare, in questo calcio ingordo e spendaccione, un gigantismo con cui De Laurentiis va allo scontro con il proprio «minimalismo» che si chiama Progetto.

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CHE SPESE - C’è un’Idea, ed è alternativa, che nasce nell’estate del 2004, quando De Laurentiis rileva il Napoli dalla Fallimentare: c’è il vuoto cosmico in quel pallone, però arriva una ventata di novità, il management modello-Cinecittà e la consapevolezza che se c’è una strada da evitare è quella percorsa dai predecessori, abitanti d’un calcio diverso, ormai paleolitico. La posa della prima pietra avviene, soprattutto, con la riconquista della serie A e con l’attuazione di una strategia che sia illuminante e guardi in prospettiva: Lavezzi (sei milioni), Hamsik (cinque e mezzo) e Gargano (appena tre) rappresentano la svolta - in quel momento possibile - e tracciano quel solco dal quale il Napoli cercherà di non scostarsi mai più di tanto.

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LO STRAPPO - E’ una scelta di vita per fronteggiare il potere economico costituito, per opporsi alla concorrenza più autorevole, per sfuggire alle multinazionali: il Napoli ci mette la testa (Lavezzi ceduto per una trentina di milioni di euro; e poi Cavani pagato 17 milioni in quattro anni e però rivenduto, dopo tre, per 64 milioni), poi la cultura - ingigantita dall’avvento di Benitez che con Bigon rivolta la squadra: mica soltanto Reina, Albiol, Callejon, Mertens ed Higuain; ma anche Koulibaly, Jorginho e Ghoulam, all’epoca poco più che «bambini» - e quella perseveranza di De Laurentiis di inseguire sempre l’energia alternativa, puntando poi, quando finisce quel ciclo, su Sarri e su Giuntoli, lasciando che fosse il proprio intuito (su Hysaj) combinato con le competenze del tandem allenatore-ds e individuare la miscela giusta: L’addio di Higuain sa di lutto (sportivo) cittadino, mentre invece proprio dietro al certificato di separazione del pipita sono già pronti i passaporti d’una serie di talenti (persino esagerati) da aspettare fiduciosamente e che, ma guarda un po’, con l’Atalanta illuminano una notte buia. Sono i soldi incassati dalla partenza di Higuain, un centinaio di milioni di euro, spiccioli più o spiccioli meno, per garantirsi piedi buoni e cervello fine, per starsene beatamente adagiati tra la meglio gioventù.

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