ROMA - Con poca tempestività, lunedì mattina, a 'la Politica nel Pallone', il presidente dell’Associazione Italiana Arbitri aveva annunciato che «le polemiche fanno ormai parte del passato» e che, nel giudicare chi giudica, non si potesse «andare sotto al sette», aspirando al «sette e mezzo». Appena qualche ora dopo, all’Olimpico, uno dei suoi arbitri, Piero Giacomelli di Trieste, l’ha puntualmente smentito. Un corto circuito che ha trasformato la sua serata in un incubo, confermando quello che da anni è il tema caldo nel mondo arbitrale, paradossalmente più di un rigore non dato o un fuorigioco non visto (a quello, adesso, ci dovrebbe pensare il VAR, se ben utilizzato). Cioè, la crescita minima - vicina allo zero - dal punto di vista tecnico della classe arbitrale di vertice. La dimostrazione è sotto gli occhi di tutti. Anzi, sotto gli occhi del VAR. Perché proprio la “moviola in campo”, che avrebbe dovuto supportare i “meno dotati”, a discapito dei più bravi, ha invece scavato maggiormente il solco che divide chi sa arbitrare e chi no. Il VAR ha sottolineato i limiti della classe arbitrale. I grandi hanno avuto pochi problemi ma gli altri...