Corriere dello Sport

LIVE

Canovi: Basta al Far West dei procuratori

Uno dei fondatori della professione, da sempre oppositore della liberalizzazione, ha vinto la battaglia: «Ma in questi due anni ci sono state troppe infiltrazioni della criminalità nella nostra categoria»

ROMA - Il libro fa bella mostra di sé sulla scrivania. Il titolo dice tutto: «Lo stalliere del Re». Dario Canovi l’ha scelto nel 2011, quando, con Giacomo Mazzocchi aveva voluto raccontare fatti e misfatti di trent’anni di calcio. Un giorno, Gianni Agnelli, riferendosi a Moggi, sbottò: «Lo stalliere del re deve conoscere tutti i ladri di cavalli». Ogni riferimento a Big Luciano, come lei lo chiama, è puramente casuale? L’avvocato sorride, sornione. «In un tempo lontano, siamo stati in buoni rapporti. Poi, Moggi mi dice che suo figlio Alessandro intende ricalcarne le orme. E fa: perché non lo prendi con te? Accetto, ma non dura: non mi va l’idea di aprire una società di cui deterrei solo una quota del 30 per cento. Così, le nostre strade si sono divise». Quarant’anni di calcio, centinaia i giocatori italiani e stranieri assistiti con una professionalità che ha reso Canovi uno dei più apprezzati, due figli d’arte, motivi d’orgoglio e di soddisfazione: il maggiore, Alessandro, protagonista di una brillante avventura professionale a cavallo fra Italia, Francia e Spagna; il secondogenito, Simone, capo degli scout della Roma che, l’ha raccontato ieri il Corriere dello Sport-Stadio, è la prima fabbrica di talenti del Vivaio Italia (sono 44 i giocatori di A made in Trigoria; 43 Milan, 40 Inter, 37 Juve, 32 Atalanta).

LA TRAVERSINA DELLA SEDIA. Ecco, la Roma. Il Patriarca s’illumina: «In giallorosso ho portato Falcao, Cerezo, Nela, Dario Bonetti oltre a essere stato l‘agente di Bruno Conti; ho avuto la fortuna di incontrare e di collaborare con Dino Viola e Franco Sensi. Ecco, se posso permettermi un sommesso suggerimento a James Pallotta, gli consiglio di trascorrere molto più tempo a Trigoria, di vivere la vita della squadra come l’hanno vissuta i suoi predecessori, due figure che ai romanisti mancano enormemente. La sera, prima di uscire, il Senatore spegneva le luci del centro sportivo. Un giorno, a pranzo, Nela, persona eccellente, appoggiò un piede sulla traversina della sedia. Il presidente lo redarguì. Con garbo, ma lo redarguì: Sebino, per favore togli il piede, che la sedia si rovina. Questo per dirle chi fosse Viola, con il quale ho fatto spesso a capocciate, ma al quale sono sempre stato legato da una profonda stima e dal rispetto dei ruoli. Viola, come Sensi sapeva distinguere i professionisti dai dilettanti. Il calcio è uno strano cantiere: c’è chi va a letto muratore e si sveglia architetto. La gratitudine nel calcio? E’ meglio adottare un cane».

MALAGO’ CAPISCE PIU’ DEGLI ALTRI. E’ talmente vero, avvocato, che, a forza di lasciar fare a muratori autopromossi architetti, è venuto giù il Palazzo. E sono arrivati i commissari. «Malagò ha preso l’unica decisione possibile, stante la situazione. Il presidente del Coni capisce più degli altri e sa che cosa si debba fare. La crisi del Sistema viene da lontano. Nel 2006, il nostro calcio ha perso l’occasione storica per cambiare tutto. L’euforia per il titolo mondiale ha annacquato le conseguenze di Calciopoli, con i risultati che abbiamo visto. I tedeschi, invece, proprio nel 2006, dopo avere incassato la delusione iridata, hanno cambiato tutto. Prenda i centri federali che hanno aperto loro e quelli che ha aperto la Figc: nei primi, si segue passo dopo passo la crescita dei migliori talenti della Bundesliga; nei nostri, la frequenza è riservata solo ai dilettanti. Per non dire del campionato riserve: basterebbe copiare i modelli che funzionano, come in Inghilterra, in Olanda, in Spagna».

PIERO ANGELA ED ENZO BIAGI. Canovi è un signore dal multiforme impegno e dall’acclarato ingegno. Da grande voleva fare il giornalista: «Avevo cominciato a lavorare nella redazione onde corte della Rai, incrociando fra gli altri Piero Angela, Nando Martellini, Antonello Marescalchi, sino all’incontro con Enzo Biagi, direttore del telegiornale. Era il ‘63. Evidentemente, ciò che avevo fatto sino a quel momento gli era piaciuto. Mi disse: devo intraprendere un viaggio a Tokio. Al mio ritorno ci rivedremo e potrai cominciare a lavorare in redazione. Ma, al ritorno, Biagi si dimise perché non sopportava le ingerenze dei politici e io non feci più il giornalista». In compenso, lei diventa avvocato e padre fondatore della professione di procuratore...

LE TRE SCIMMIETTE. Canovi aggrotta le ciglia. Poi, dilaga:«Sa una cosa? Se tornassi indietro, non rifarei tutto ciò che ho fatto. Negli ultimi anni sono stato testimone della decadenza della professione, svilita, deprezzata, svalutata dalla liberalizzazione decisa dalla Fifa di Blatter nell’aprile 2015 e accettata senza colpo ferire da Uefa e Figc. Ha presente le tre scimmiette? Una non vede, la seconda non parla, l’altra non sente. Per fortuna, alla fine del 2017, dopo la nostra battaglia durata due anni e alla quale non hanno partecipato tutti i colleghi, c’è stato un ministro, Luca Lotti, che ha ripristinato le regole. Con la deregulation, pagando 500 euro chiunque poteva diventare procuratore, pur se titolare sino a 5 anni di carichi penali non passati in giudicato. Niente laurea, niente esami, niente di niente. Il che ha scatenato il Far West, favorendo le infiltrazioni della criminalità organizzata, soprattutto nelle categorie inferiori dove ha fatto incetta di procure. E sappiamo benissimo quali rischi possa correre la regolarità delle partite e delle scommesse, se molti giocatori i cui ingaggi annui oscillano fra i 30 mila e i 40 mila euro sono in mano a pochi agenti che al massimo arrivano a una percentuale del 10% di quegli ingaggi, non sono qualificati e amano fare maneggi. Peraltro, la mia denuncia non è la sola: fra i primi a sllevare il problema è stato il Procuratore Generale della Corte di Cassazione nella sua relazione annuale. Ai piani alti non è andata meglio: è immorale intascare 53 milioni di euro per la cessione di un calciatore ed è immorale che alcuni affari scaturiscano dalla combutta procuratore-amministratore delegato della società acquirente. La verità è che c’è stata sempre meno professionalità. Io, Branchini, Carpegggiani, Caliendo, la vecchia guardia per intenderci, abbiamo sempre cercato prima di tutto di fare gli interessi del calciatore e poi, ovviamente, i nostri. Oggi gran parte dei procuratori fa l’intermediario, il che è vietato trattandosi di una disciplina che regola lavoratori subordinati. Ecco perché, la reintroduzione dell’albo, dell’esame di ammissione, del titolo di studio, della certificazione penale sono di fondamentale importanza. E’ ora di ricominciare a imporre il rispetto delle regole».

«L’ERRORE DI MOGGI». Quelle che saltarono ai tempi di Calciopoli? Sono passati dodici anni, ma lo scandalo è ancora una ferita aperta. Perché? «Perché non è stata fatta giustizia a trecentosessanta gradi e perché alcune zone d’ombra sono rimaste. Prima abbiamo parlato di Moggi. Sa qual è stato il suo errore più grande? Non avere letto abbastanza. In Italia, gli sport più praticati sono due: la creazione di un mito e la sua immediata distruzione. Non abbiamo simpatia per chi ha successo e la Juve di Moggi era la più forte degli ultimi trent’anni: non c’era bisogno che il suo dg facesse telefonate ai designatori arbitrali. Credo che, all’apice del trionfo, Moggi sarebbe dovuto rimanere più tempo in silenzio e usare meno arroganza. A proposito: lo sa che Moggi sarebbe dovuto andare all’Inter? Quando ci incontravamo a Milano, a volte l’aspettavo per un’ora sotto la sede nerazzurra, dove incontrava Moratti. Chiaramente, per parlare di calcio».

LA FOTOCOPIA DELLA MANO DI CEREZO. Le foto di Giordano, Falcao e Bruno Conti occhieggiano dalla libreria. E Cerezo? «Cerezo è un grand’uomo, una delle migliori persone che abbia mai incontrato in vita mia. Tanto generoso quanto distratto. Abitavo sulla Cassia e un venerdì avevo invitato a cena Toninho e Bruno Conti. Il giovedì sera, il portiere citofona: avvocato, c’è qui Cerezo con la moglie. Toninho aveva fatto confusione. Cenammo due volte». L’episodio dipinge un sorriso sul volto di Canovi. «La prima volta che Mantovani gli rinnovò l’accordo con la Samp, lo fece scrivendo con un pennarello sul palmo della sua mano: «Vale un anno di contratto». Toninho mi chiamò per chiedermi: ma vale davvero? Ed io: vai subito a fare la fotocopia della mano». La fece? «Di corsa».

Corriere dello Sport in abbonamento

Insieme per passione, scegli come

Abbonati all'edizione digitale del giornale. Partite, storie, approfondimenti, interviste, commenti, rubriche, classifiche, tabellini, formazioni, anteprime.

Sempre con te, come vuoi