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Con Astori è morta l'idea della felicità ideale

La morte che spezza per sempre il filo di una coppia innamorata, di una famiglia solida e positiva, fa ancora più rabbia

Trattato dai giornali e dalle televisioni come un attore famoso o il più noto dei leader politici. Il calcio che non si era fermato nemmeno dopo l’11 settembre ha dedicato un’intera giornata di silenzio, riflessione e ricordi a un calciatore che non era nemmeno troppo conosciuto, un signor professionista, il capitano di una squadra da tempo non di vertice. Non un campionissimo, dunque, ma qualcosa di più: un uomo amato.

Il calcio si è arreso alla morte di uno dei suoi perché proprio i calciatori hanno deciso che non si poteva giocare, che questa volta lo spettacolo non doveva continuare. Non c’era bisogno di un intervento dall’alto. Un salto impensabile sino a pochi anni fa.

E' successo qualcosa di nuovo e di strano ma anche di buono, dopo che abbiamo appreso della morte nel sonno di Astori, quello che “parlo solo quando ce n’è bisogno”. Attraverso lui il calcio dentro una delle sue stagioni meno edificanti ha provato a curarsi le ferite dell’anima.

Ho letto e ascoltato ricordi commossi, alcuni strazianti: da ieri a mezzogiorno ho davanti agli occhi quelli di Francesca e non voglio neppure immaginare cosa stia provando, cosa proverà nei giorni della solitudine.

La morte che spezza per sempre il filo di una coppia innamorata, di una famiglia solida e positiva, fa ancora più rabbia.

Con Astori non è morto solo un calciatore, ma l’idea della felicità ideale.

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