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Roma 1982/83-Roma 2000/01 1-2: Falcao illude, poi la coppia Montella-Totti esalta Capello

Il centrocampo “pensante” di Liedholm e la spinta di Nela mettono in crisi Samuel & co. Nella ripresa, l’ingresso dell’Aeroplanino segna la svolta

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Quando Conti accarezza la palla a metà campo, salta Tommasi in agilità con passo da ballerino prima che Totti gli frani addosso, l’Olimpico perde il respiro, trema e poi resta immobile. Come se avesse avvertito uno scricchiolio sinistro del Colosseo. Francesco tende la mano, Bruno si rialza smoccolando, poi sorride. Si abbracciano e via. Come se nulla fosse. Bruno da Nettuno, Francesco da Porta Metronia, romanisti dentro e per scelta, la fantasia al potere, la bellezza del pallone che è come il sole a illuminare i Fori per l’eternità. L’Olimpico si rilassa e così riprende a far festa in questo derby che annulla la parabola del tempo.

Bruno porta con sé le stimmate della Roma del Barone, è l’uomo in più che concretizza le idee e le giocate di un centrocampo pensante, Falcao Prohaska Ancelotti Valigi, che non è di corsa ma di concetto. E lì davanti l’esterno che Pelè ha eletto a divo del Mondiale di Spagna sa innescare l’uomo che dell’area di rigore ha fatto il suo regno, Roberto Pruzzo, il baffo che dà del tu al gol, di testa o di piede, di riffa o di raffa. Dietro, Vierchowod non fa passare manco uno spiffero di Ponentino, centrale elastico e arcigno, e del suo debordante atletismo si giova anche Ago il capitano, anima di questa Roma nobile e popolana insieme. Il calcio di Di Bartolomei è pulito e razionale, le sue aperture sono trattati di geometria, le botte da fermo rombi di tuono, i silenzi che emana la traduzione della sua umiltà e della sua intelligenza. Liedholm gioca con professori oxfordiani in cattedra, ogni partita è una lezione universitaria.

Totti traduce invece in un concentrato di arrogante potenza il credo di una Roma che deborda, quella di Capello, che gli avversari li mastica e poi li divora, alzando ogni volta che ne sente il bisogno il livello dell’impatto muscolare e la soglia tecnica. Totti Batistuta Montella, con Delvecchio a fare tutto quel che serve a supporto, hanno in catalogo la formula alchemica necessaria per spazzare chiunque. Capello è maestro di equlibrio, il suo sapiente uso dei contrappesi spesso gli impone un centrocampo di sacrificio, da pescare nel quartetto Tommasi Emerson Zanetti Di Francesco, e una difesa capace - con un pilastro come Samuel the wall, il muro - di sostenere la furia di due esterni che a definirli terzini sarebbe riduzione lessicale e tattica, Cafu e Candela. A specchio, Liedholm dispone di laterali che hanno confi denza anche con l’altra metà campo. Nela e Maldera spingono da matti, due stantuffi , ed è ciclopica la sfida che si consuma a strappi e scatti come su una pedana di spada.

Si gioca a vele spiegate. Senza cautela. A Totti che chiude uno scambio con Batigol calciando di poco alto sui pali di Tancredi, risponde Pruzzo, che di testa s’incunea tra Samuel e Zago ma non è fortunato nella deviazione in acrobazia. Il ritmo è sostenuto, non altissimo. Spingono i laterali, a folate. La potenza di Nela ha il sopravvento al 23’: il suo cross è addomesticato di petto da Falcao in taglio, stop divino e pallone calciato di controbalzo sotto la traversa. Antonioli non può far altro che osservare, impietrito. Il brasiliano esulta con un salto e i pugni serrati, a modo suo. L’Olimpico si scioglie, 85mila in delirio per la prodezza di Paulo Roberto, un re tra i re. Batistuta sfi ora il pari, di rabbia, su imbeccata di Cafù. Ancelotti e Prohaska si abbassano troppo, il Barone non gradisce e lo fa capire a gesti. L’1-1, al 68’, è scritto nel cromosoma Montella. Totti scambia con Candela, il rasoterra in area sembra calamitato da Vierchowod, ma Vincenzino - subentrato a Delvecchio - lo anticipa con un guizzo: il tocco, d’esterno, va a morire nell’angolo alla destra di Tancredi. E l’Aeroplanino decolla.

L’epilogo scritto dagli dei è quello del pareggio, lo impone la storia. Ma è la buona sorte, non il genio, a sparigliare le carte del mazzo. Il secondo arride a Conti e Totti in egual misura, la prima no. Capricciosa, volubile, ammicca soltanto a Francesco. Che, dopo aver visto un lampo di Bruno spegnersi sulla traversa, un sinistro soffiato dalla iella, troverà il suo, di palo, ma interno, a decidere il derby all’89’. Gioco, set, partita. A testa alta, tutti. Ma più degli altri Agostino, migliore in campo. Anche stavolta, con un sorriso timido a spegnersi nell’ora che intenerisce il core.

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