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Roma 2000/01-Juventus 2013/14 2-1: Tevez-Batigol show Boca, ma il guizzo è di Nakata

Ai supplementari decide la gara una staffilata del giapponese. La Juve, in vantaggio con Carlitos, poi non sfrutta il contropiede. E la Roma di Capello non perdona

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Sembra che Osvaldo Soriano, pur tifoso del San Lorenzo, se la stia godendo da qualche parte, immerso tra la gente che sciama. E verrebbe da star dietro alla sua allegria contagiosa, epicurea, se non fosse che gli sguardi taglienti di Carlos Tévez e Gabriel Omar Batistuta vanno a calamitare i nostri, con elettricità, dal cuore del campo. Un’energia azul y oro che trasmette brividi e una dolce insofferenza. Sono i ragazzi del Boca, e la loro hincha, fede e sentimento mescolati a una potenza devota che sale dalle viscere, è qui oggi a farsi corpo e dedizione per questo inedito Juventus-Roma.

Carlitos ha una storia incisa sulla carne, ha un passato che non passa perché è ricchezza tribolata, non solo demoni da far evaporare sul terreno fertile della vita; Batigol ha varcato i trent’anni ma il suo orizzonte non prevede tramonto, segnare gli viene ancora facile, è diventato giallorosso per missione, cento miliardi di lire ha investito Franco Sensi per deviare lo scudetto sulla sua sponda del Tevere. Uomini contro, lo ha voluto il destino, eppure hanno lo stesso Dna, la stessa impronta, il calco che non morirà mai, come quello di Walter Samuel, che dal Boca è sbarcato a Roma con una operazione sottoscritta per miliardi di lire 34, buoni e giusti dal primo all’ultimo per il muro di cui necessita Capello. Tévez versus Batistuta è il picco di una serie di duelli che danno sapidità ulteriore a una sfida che di suo è già pura fibrillazione. Ai nostri talenti si chiede spettacolo ed efficacia: Pirlo e Totti sono tormento ed estasi, il calcio elevato a disfada letteraria senza il pathos delle origini - e Soriano se la sta assaporando tutta, la partita. Anche perché, come ci ha insegnato il grande vecio Bearzot, il nostro calcio esalta il meglio dell’altrui disposizione tattica senza mai svilire la propria memoria e i propri anticorpi: tanto che la sua Nazionale al fútbol albiceleste ha dato due storiche lezioni, Argentina ’78, in casa loro, e Spagna ’82, nell’avvio inatteso della cavalcata più coinvolgente. Conte e Capello, che muovono i soldati della sfida, hanno dentro quel cromosoma bearzottiano che li ha resi grandi in panca, più di quanto lo siano stati in campo. La Juve del leccese è una macchina perfetta: la cerniera a tre, la BBC che tremare il mondo fa, toglie aria all’attacco atomico della Roma di don Fabio, che cerca varchi cavalcando la fantasia del Capitano. Vidal e Pogba dettano il ritmo in mediana, ma Emerson e Tommasi sanno elevare il sacrificio di sé a regola esistenziale. Se proprio vuole scardinare la cassaforte, la Roma deve far presa sulle correnti esterne, con Cafu e Candela che osano laddove Lichtsteiner e Asamoah arretrano in affanno, soggiogati dalla lingua universale del calcio di strada franco-brasiliano.

A spezzare l’equilibro è una prodezza dell’Apache, minuto 38: uno sganciamento con copertura precaria di Zago mette Pogba in condizione di dettare il ritmo frenetico di una ripartenza (leggi contropiede). Tévez, servito in corsa, si slega da Zebina, lascia a terra con una finta l’altro xeneize Samuel e traccia un diagonale perfetto: Antonioli è costretto a guardare impotente l’1-0. Nella ripresa, Capello inserisce Montella per Delvecchio: sa che spostare in avanti il baricentro metterà Conte in condizione di tradurre al meglio il suo gioco in scacchiera. Ma deve prendersi tutti i rischi della condizione di svantaggio. Un palo di Llorente al 72’, su delizia di Tévez, fa risuonare l’ennesimo avvertimento per i giallorossi. Ma Totti ormai non ha più nulla da perdere. E il coraggio lo premia quando rasenta l’incoscienza della genialità. All’82’ il Capitano risucchia la gabbia difensiva bianconera e con un cross d’esterno sul palo opposto imbecca Batistuta, che il pallone quasi lo divora: un destro tremendo a pochi passi da Buffon rimette in pari la partita. Chiusi i regolamentari sull’1-1, la carta a sorpresa esce dal mazzo di Capello. Si chiama Hidetoshi Nakata, preso dal Perugia per 30 miliardi di lire più il cartellino di Alenichev, il russo incompiuto. Impermeabile a ogni turbamento, il giapponese che ama i viaggi e sogna di essere Bruce Chatwin scarica all’improvviso, da trenta metri, un destro che va ad esaurirsi sotto l’incrocio dei pali. È il minuto 118: esplode la curva giallorossa, Capello è una sfinge, Conte no, un vulcano, un ossesso. Due minuti, soltanto due, per buttare sul tavolo l’ultima carta, il tempo di un assalto con colpo di testa di Pogba da calcio d’angolo: la palla che sfiora il montante è il segno della resa per la Juve dei record. All’ultimo respiro, il respiro del Sol Levante.

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