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Draghi, Spadafora, Dal Pino e lo scontro Mihajlovic-tifosi

FOTO SCHICCHI

Ieri mattina, ad assemblea sui diritti rinviata per “assenza del quorum costitutivo”, qualcuno ha diffuso la voce delle dimissioni del numero 1 della Lega Dal Pino: stanco di dover combattere contro gli interessi di bottega dei presidenti e di vederli cambiare troppo spesso sponda sui fondi, sul canale, sui diritti tv e sul prezzo delle pere, avrebbe deciso di mollare.

Nel primo pomeriggio il “divisivo” Dal Pino ha smentito: anzi, ha parlato di programmi a lunga scadenza. «Abbiamo davanti quattro anni per rilanciare insieme la Serie A» la sua conclusione «e riportarla a una posizione di leadership in Europa, come merita il nostro calcio». Della serie: adesso vediamo chi ce l’ha più duro. O molle. A proposito di durezze, mollezze e bassezze. Per la delega allo sport è in corsa - non è uno scherzo - Vincenzo Spadafora, l’ex ministro dello sport che, per sua stessa ammissione, non conosceva il mondo dello sport. Tra i suoi sponsor figurerebbe il presidente del Coni Giovanni Malagò (…) il quale sosterrebbe – a seconda della colorazione politica – anche le candidature di Marin (Forza Italia), Prestipino (PD), Nobili (Italia Viva) e Dadone o, in caso di calamità naturale, Spadafora (5Stelle). Draghi, che lo sport l’ha praticato e lo segue, ce ne scampi e liberi.

Dura è anche la vita del procuratore federale Giuseppe Chiné: sta per essere nominato capo di gabinetto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Mef, ma fino a giugno continuerà a occuparsi con attenzione delle carte e a decidere liberamente. Negli ultimi tempi - si mormora nei corridoi di via Allegri - qualche presidente di A ha tentato di spingerlo alle dimissioni. A tutt’oggi inutilmente, grazie a Dio. Una curiosità: il figlio di Chiné, Bruno, terzino di discreto livello, giocava nelle giovanili della Lazio. Il 24 luglio 2019 non fu confermato e passò all’Urbe Tevere.

L’ultimo duro della giornata è Mihajlovic. Da una settimana a Bologna non si parla che del video registrato all’interno del pullman della squadra poco prima dell’arrivo allo stadio per la partita con il Benevento; video - stoltamente diffuso - nel quale l’allenatore, scherzando con l’autista, si concede alcune battute per nulla offensive su un paio di tifosi che stanno partecipando a un appassionante flashmob di incoraggiamento («guarda, quello ha novant’anni… quest’altro è tatuato anche in faccia...»). Un modo come un altro per stemperare la tensione. Nota della società, pretesa di scuse, irritazione dei soci di minoranza, addirittura una lettera di scuse a firma Mihajlovic mai scritta dal tecnico, invito - rivolto a Fenucci - a promuovere Di Vaio dirigente di collegamento tra la società e il tifo organizzato (materia per la procura federale), c’è anche chi ha parlato di fine di un amore tra la città e Sinisa. A Bologna oltre a sfiorare la B (la salvezza avrebbe un solo padre: serbo) si sfiora il ridicolo. Ricordo, a chi si è sentito offeso, due particolari dirimenti: Sinisa è la stessa persona che andò in panchina con la leucemia, pessima compagnia, e che, vinta la battaglia della vita, con la solita, tagliente sobrietà, se ne uscì così: «Adesso mi guardano tutti come fossi la Madonna, ma voglio che tornino a considerarmi uno zingaro di merda». Impresa che non deve riuscirgli proprio nella “sua” Bologna. L’ironia è come gli scacchi. C’è chi vede solo il bianco e il nero e chi capisce il gioco (cit.).

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