Questo è il primo capitolo di un libro sui vent’anni del Milan di Berlusconi cassato non una, bensì due volte. La prima, editore Rizzoli, per questioni politiche: la pubblicazione saltò poiché l’allora direttore del Corriere della Sera, se non sbaglio Paolo Mieli, attaccò duramente il Cavaliere; addio libro, ritenuto agiografico, il cui titolo era “il Diavolo custode”. La seconda, editore Cairo, il titolo sostituito con “Venti di vittoria”, per ragioni che ancora mi sfuggono.
St. Moritz-Linate, febbraio 1986. «Compriamo il Milan». Lo dice convinto, ora lo è. Il volo è breve, da St. Moritz a Linate poco più di mezz’ora. In un lunedì di febbraio insolitamente caldo rinasce il Milan, comincia il calcio moderno.
Da almeno tre mesi con gli amici, i collaboratori e in particolare con Adriano Galliani che del gruppo è l’esperto, Berlusconi non parla d’altro. È uscito allo scoperto il 18 dicembre con sette righe di comunicato: «Il Gruppo Fininvest, di cui è presidente Silvio Berlusconi, dichiara la sua disponibilità a esaminare la possibilità di un intervento a livello di capitale nella società AC Milan. Questa possibilità si manifesta oggi, a seguito delle intenzioni di disimpegno pubblicamente manifestate da parte dell’attuale presidente del Milan, Giuseppe Farina».
«Non so perché la decisione sia stata presa in cielo ma so che è successo proprio lì e giusto a metà volo» ricorda Galliani, che si è legato a Berlusconi il primo novembre del ‘79. «Eravamo partiti con ancora molti dubbi e le preoccupazioni che derivano dai conti. Prevaleva il no. A bordo c’erano anche Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Vittorio Dotti. Loro i più entusiasti, io quello che frenava. Conoscevo il mondo del calcio e sapevo che era in perdita totale. A Berlusconi mi limitavo a ripetere che lo consideravo un grande atto d’amore ma che gli sarebbe costato tantissimo. Il calcio perde strutturalmente. Oggi i numeri sono decisamente superiori eppure vent’anni fa in pochi se la passavano bene».
Nell’inverno dell’85 se la passava malissimo il Milan. I libri contabili erano finiti in tribunale, l’istanza di fallimento era scattata, il presidente Farina prima di scappare in Sudafrica aveva detto: «Le azioni del Milan le aveva mia figlia Marisol, ci stava giocando e non saprei dove le abbia messe». A rappresentarlo erano rimasti gli avvocati Alberto Ledda e Claudio Donella. Tra Farina e Berlusconi, giusto lo spazio per un traghettatore, Rosario Lo Verde.
Il volo, la decisione definitiva, le molte idee del capo, uomo dalle notevoli capacità seduttive. Il 10 febbraio, dieci giorni prima che a Parigi nasca La Cinq, la televisione privata creata in meno di sei settimane e con quarantaquattro miliardi di fatturato nel cassetto, Berlusconi diventa l’azionista di maggioranza del club: il 51 per cento gli costa sei miliardi di lire. Un mese dopo. Lunedì 24 marzo, alle 17 e 20 - il Milan ha appena perso in casa con la Roma 1-0, gol di Pruzzo - al Teatro Manzoni il vecchio consiglio si presenta dimissionario e nasce il Milan di Berlusconi, nel cui CdA sono presenti Paolo Berlusconi, Carlo Bernasconi, Cesare Cadeo, Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Vittorio Dotti, Giancarlo Foscali, Adriano Galliani, Leonardo Mondadori, Gianni Nardi, Sergio Travaglia e Luigi Vesigna, direttore di Sorrisi e Canzoni.
Cravatte, doppipetti, molto blu e molto grigio, è il momento dei cambiamenti, del pagamento di un prezzo alto, fatto di fedeltà alle tradizioni familiari e ai colori, e nessuno discute le linee del “dottore”. «Chi vuole vendere la propria quota lo faccia, sono disposto ad acquistare il cento per cento del pacchetto». Il provvisorio cede il passo a un presente di ambizioni, gravido di miti e simboli. Berlusconi scrive con una penna rossa e una nera, su un foglio che ancora conserva, quella che diventerà la mission del club: «Il Milan punta a diventare la squadra più prestigiosa del mondo - attraverso le vittorie dei più importanti trofei internazionali - in forza di un gioco spettacolare. Chi ci crede, vince. Il bel gioco il nostro principale traguardo. Un Milan dalle molte genialità, con molti architetti del gioco».
Oggi il presidente non ha cambiato idea: «Essere protagonisti in Italia, in Europa e nel mondo praticando un gioco spettacolare. Questo principio l’ho enunciato pubblicamente già nell’86 quando rilevai la società. Ci furono dei sorrisi. Ma noi ci credevamo davvero. La squadra poteva contare sui giocatori più forti, su un pubblico numeroso ed entusiasta, su un allenatore con idee nuove e vincenti, su uno stadio magnifico e su un centro avveniristico come Milanello. Nel corso di una convention che è diventata storica a Pomerio, ci siamo chiesti se potevamo centrare i traguardi che perseguivamo. La risposta è stata affermativa e da allora ci siamo sempre comportati nel modo che ritenevamo più adatto per conseguire i nostri obiettivi. Abbiamo avuto successo anche in termini di popolarità».