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Addio Beckenbauer, eri il più libero di tutti

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È morto a 78 anni il 'Kaiser' dei difensori: simbolo del calcio tedesco e inventore di uno stile di gioco, ha vinto i Mondiali anche da ct

Quando avanzava, sembrava che avanzasse il calcio: e difatti, avanzarono insieme. Sul serio. Per noi ragazzi del Novecento, Franz Beckenbauer è stato il simbolo della classe e dell’eleganza. Quella testa alta, quei piedi metà guanti e metà tacchi. E poi gli occhi, quegli occhi: due radar. “Imperatore” per caso, durante una trasferta con il Bayern a Vienna, fine anni Sessanta. Lo portarono al Palazzo imperiale degli Asburgo. Un paparazzo lo sistemò vicino al busto di Francesco Giuseppe e scattò. I giornali del giorno dopo titolarono, solenni: «I due Kaiser Franz». Sbocciò, così, una carriera diventata leggenda. Per i tedeschi, Beckenbauer sta(va) sopra il Cancelliere e sotto Dio, a conferma che «gli aggettivi adescano e i superlativi seducono» ovunque, mica solo dalle nostre parti.

Beckenbauer, inventore di uno stile

Bavarese fino al midollo, di Giesing, quartiere di Monaco, nacque tra le macerie di una guerra che, finita, continuava a sfinire. L’11 settembre 1945. Tifa per il Monaco 1860, i cugini di città, e ha 13 anni quando il Giesing lo offre in visione proprio al club che adora. A un avversario che gli molla un cazzotto giura vendetta, tremenda vendetta. Mai più. C’è un’altra squadra a Monaco, certo che sì: il Bayern. E Bayern sarà. Anche se all’epoca pedalava in seconda divisione.
La cronaca, per farsi storia, ha bisogno di snodi come questo. Il centravanti che arretra a mediano, e da mediano a battitore libero. O semplicemente libero, all’italiana. Come Armando Picchi che, nell’Inter di Helenio Herrera, governava le trincee e scandiva il fuoco di sbarramento. Franz mica si accontenta. Ha in mente visioni che sfuggono ai diari di bordo, alle mode, ai modi di recitare (e mai di riciclare, se non a fine corsa). Libero, appunto: di difendere e di impostare. Di ostruire e di costruire. Rincorre e si sgancia. Se glielo ordinano, capacissimo di marcare a uomo persino Bobby Charlton, ma il meglio lo dà nel fondare una scuola, nel creare uno stile. Corre, la memoria, a Gaetano Scirea: colui che, più ancora di Franco Baresi, ne ha riecheggiato la postura, l’andatura.

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