I rimpianti con la Roma e il De Rossi allenatore
Da Parigi a Roma, da capitale a capitale, tornando in Italia. L'amore smisurato dei tifosi della Roma per il talento di Javier Pastore, nonostante i tanti acciacchi e i continui problemi fisici: "Appena seppi della possibilità di far ritorno in Italia ero contentissimo - ha rivelato -. La Roma è tra le più grandi squadre d’Italia, e c’era tanta voglia di far bene. Troppe aspettative? Parlando personalmente, il primo anno non riuscii a trovare l’equilibrio con l’allenatore del momento (Di Francesco), che mi faceva giocare più in mezzo al campo come interno e obbligandomi a difendere troppo. Poi arrivò Paulo Fonseca e tutto cambiò in meglio per me dal punto di vista tattico, anche se poi mi fermò l’infortunio all’anca, che mi tenne fermo per un anno e mezzo. Il tutto in una squadra che aveva riposto tante aspettative su di me, un peccato. Il gol di tacco all'Atalanta? Anche quella fu una di quelle giocate che eseguii in modo naturale, senza sforzo. Così come fu una di quelle che poi rividi in video e mi resi conto di quanto la gente fosse estasiata allo stadio per quanto avevo fatto".
Pastore non ha certo dimenticato Daniele De Rossi, compagno e capitano ai tempi della Roma: "Ero sicuro che sarebbe diventato un allenatore, perché con me già lo era in campo. È una persona che vive di calcio e vuole conoscerne tanti aspetti. E sapevo anche che sarebbe andato a giocare in Argentina per tutte le domande che mi faceva sul nostro calcio, conosceva tutte le squadre e tutti i giocatori del campionato argentino, era incredibile".
Il retroscena su Ancelotti al Psg
"Carlo è un allenatore top, soprattutto nella gestione", ha sottolineato El Flaco, confermando le straordinarie doti di manager dell'ex tecnico di Milan e Juventus. "Se oggi il Real Madrid è vincente è anche per la sua maniera di condurre il gruppo. Di lui non dimenticherò mai l’umanità e l’empatia". E poi racconta un simpatico retroscena: "Eravamo in un ristorante a festeggiare il primo titolo di Ligue 1 della nuova proprietà, e alle due di notte il Pocho Lavezzi lo chiamò davanti a tutti noi. Carlo dormiva, ma rispose comunque, pensando che si trattasse di qualcosa di grave, e dopo neanche venti minuti si presentò al ristorante per venire a festeggiare con noi. Fu qualcosa di incredibile per un allenatore che aveva già vinto tanto. Ci raccontò tanti aneddoti e tante storie del suo passato, dando l’ennesima prova della sua dolcezza. Carlo si fa amare tanto dai suoi giocatori, e con lui al Psg eravamo una vera famiglia".