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Elezioni Figc, Gabriele da Minsk

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L ’invidia, il livore di Aleksandr Lukashenko non appena ha saputo che Gabriele Gravina era stato rieletto alla presidenza del calcio italiano col 98,7%. Pare che ieri pomeriggio il leader bielorusso abbia radunato i fedelissimi per esprimere la proprio irritazione e annunciare punizioni esemplari per i dispersori di consenso. 

Il risultato delle elezioni federali è effettivamente imbarazzante per le proporzioni che ha assunto: il 71enne Gravina, numero uno di via Allegri dal 2018, ha di fatto ottenuto il premierato e per i prossimi anni potrà disporre di uomini e cose approfittando dell’assenza di un’opposizione forte e agguerrita. 

Il leader dei No Grav, il senatore Claudio Lotito, non si è nemmeno presentato, mentre non si sono fatti mancare Gianni Infantino e Aleks Ceferin: il presidente Fifa è riuscito addirittura a polemizzare con l’omologo dell’Uefa sul numero delle manifestazioni organizzate nell’ultimo anno. Il bue ha dato del cornuto all’asino: è un detto popolare, nessuno s’ingrugni e faccia lo sforzo di riconoscersi nell’una o nell’altra bestia. 
Vengo al punto-chiave: Simonelli (Lega di serie A), Bedin (B), Marani (Lega Pro), Abete (Dilettanti), Calcagno (calciatori) e Ulivieri (allenatori) hanno cantato uno dopo l’altro lo stesso motivetto, sottolineando che «adesso c’è pace e unità». 
Siamo felici che il calcio italiano abbia ritrovato tanta serenità in così poco tempo. Ma, di fronte a un consenso bielorusso o bulgaro, non possiamo fare altro che pretendere dei cambiamenti sostanziali e che Gravina riporti il calcio al centro del tavolo, facendo applicare le regole che peraltro già ci sono, garantendo una giustizia sportiva giusta e autonoma, interessandosi seriamente della base e restituendo dignità politica all’intero sistema. 
Sia chiaro: Lotito non è stato trombato, s’è semplicemente fatto da parte (non so fino a quando...). Sembra dunque finito il tempo dei conflitti interni, dei tradimenti e degli alibi. Ora il Premier ha il dovere di sporcarsi le mani recuperando tutte quelle riforme abbandonate troppo a lungo nel cassetto della (sua) sopravvivenza. 

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