Inseguito, colpito alla testa, poi preso a calci e pugni. Sembra la descrizione di una guerriglia urbana, invece è l’aggressione subita su un campo di calcio da un giovane arbitro, 19enne, Daniele Alfonzetti, durante una partita di playoff under 17 di qualche giorno fa in provincia di Catania. Un episodio, purtroppo, non isolato perché solamente negli ultimi due anni ci sono stati più di mille casi di aggressioni a direttori di gara in Italia. Un fenomeno preoccupante, oltre che crescente, figlio di un retaggio culturale difficile da estirpare. Per questo l’AIA, ora, chiede e si aspetta un intervento governativo nel tentativo di debellare un problema che ha radici profonde, mentre nel frattempo Lazio e Roma hanno invitato domani all’Olimpico Alfonzetti che farà il suo ingresso con il resto della squadra arbitrale. Un gesto, quello dei due club, di vicinanza, non solo al fischietto aggredito, ma a un mondo intero.
I numeri
A spaventare, però, sono i dati forniti dall’Osservatorio sulla Violenza dell’Associazione Italiana arbitri. La stagione in corso, infatti, racconta di come i numeri siano in crescita rispetto allo scorso anno, perché le aggressioni sono già state 571 nel 2024-25 (contro le 528 del 2023-24). Di queste 156 fisiche, 60 fisiche gravi che hanno portato a 317 giorni di prognosi medica, 75 di stampo morale e 280 figlie di altre condotte. Aggiungendo le statistiche della stagione 2023-24, i giorni di prognosi totali arrivano a essere 693, mentre si rileva come ad esempio le aggressioni morali siano quasi raddoppiate (lo scorso anno erano state 41). Numeri che preoccupano e che negli anni hanno contribuito anche a una crisi vocativa nei ragazzi verso la figura del direttore di gara. E se la maggior parte di queste violenze si consumano nei campi minori o di periferia, c’è anche un alto livello che testimonia lo stato di agitazione di un movimento. Basti pensare alle denunce pubbliche di due arbitri di prima fascia come Maresca e Guida, i quali da campani hanno richiesto di non arbitrare il Napoli. Qui il discorso della territorialità non centra assolutamente nulla. “Quando ho commesso degli errori non era così sicuro passeggiare per strada - ha spiegato Guida -. Ma se sbaglio voglio stare tranquillo”. Parole che somigliano molto a una sconfitta per un paese che si considera civile e dove nel 2025 vige ancora la cultura del sospetto e dell’impossibilità per un arbitro di prendere una decisione sbagliata, al pari di un collega in qualunque altro ambito.
L’impegno della federazione
Ma se ciclicamente il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, chi è a capo dell’Aia, o qualunque altra figura istituzionale, ha bisogno di ribadire la vicinanza a un mondo, quello arbitrale, allora vuol dire che la soluzione del problema è ancora lontana, nonostante l’impegno della federazione negli anni non sia mai mancato. Eppure a distanza di quasi due anni dalle norme più stringenti varate dal consiglio federale, non si è riusciti ad evitare un caso come quello di Alfonzetti. Il 19 aprile 2023, infatti, la Federcalcio ha approvato una normativa che prevede il raddoppio del minimo edittale per chi si macchia di simili e deprecabili comportamenti, equiparando lo sputo a condotta violenta e prevedendo la sanzione minima di due anni di squalifica/inibizione (precedentemente prevista in un anno), mentre per le condotte violente che provocano lesione personale accertata da referto medico il minimo edittale passa da due a quattro anni. Aumentate del doppio anche le sanzioni minime previste per le condotte ingiuriose o irriguardose nei confronti degli arbitri, senza tralasciare la novità che prevede, come nel caso in cui ad aggredire un arbitro siano coinvolti dirigenti, la penalizzazione di punti in classifica in capo alla società, partendo da un minimo due punti. Da qui nasce la stangata del giudice sportivo della Lega Nazionale Dilettanti verso la società Russo Sebastiano Calcio Riposto per l'aggressione di Alfonzetti, con la squadra esclusa dal campionato Allievi/under 17 per la stagione 2025-2026, otto calciatori «esclusi da qualsiasi rango o categoria fino al 5 aprile del 2030», più altri due squalificati per lo stesso periodo e un altro per tre anni, fino al 4 aprile 2028.
Scende in campo il Governo
La giustizia sportiva da sola, però, non basta e non è bastata. Per questo da anni il mondo del calcio chiede al Governo uno sforzo normativo che tuteli maggiormente la figura dei direttori di gara. A tal proposito il recente incontro del n.1 degli arbitri italiani, Antonio Zappi, e il ministro per lo sport e per i giovani, Andrea Abodi, potrebbe produrre un’accelerazione importante. Il tentativo è quello di porre rimedio a un fenomeno in escalation e per questo negli ultimi giorni è tornata in auge l’ipotesi del carcere per chi si macchia di tali aggressioni. Affinché questo avvengo c’è bisogno prima di un riconoscimento, ovvero che gli arbitri siano equiparati a dei pubblici ufficiali, modificando quello che è l’articolo 583 quater del codice penale. Un punto che negli anni ha già subito diverse rivisitazioni e che riguarda «le lesioni personali cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasioni di manifestazioni sportive». Un articolo ampliato nel tempo già al personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria, nonché a chiunque svolga attività ausiliare di cura, assistenza sanitaria o soccorso e servizi di sicurezza complementare. A quest’ultimo ambito, che rispecchia il comma 2 dell’articolo, andrebbero aggiunti gli arbitri, affinché le pene in caso di lesioni gravi o gravissime possano essere le stesse previste dal comma 1 per i pubblici ufficiali. E dunque 4 ai 10 anni di reclusione per le lesioni gravi e dagli 8 ai 16 per le gravissime. Tradotto: la galera per chi si macchia di comportamenti del genere. Da abbinare a tutto questo, poi, delle campagne di formazione e sensibilizzazione partendo dai ragazzi e le ragazze che popolano le migliaia di scuole o società sportive di qualunque disciplina perché le sanzioni devono sì essere commisurate al reato commesso, ma è altrettanto fondamentale lavorare sulla prevenzione e sul cambiamento di quella cultura sbagliata che isola e ghettizza gli arbitri, soprattutto di fronte a un errore.