Qualcuno si faceva la colla da solo, acqua e farina, grumi disgustosi, senza webinar a insegnarlo, perché all’epoca nemmeno si poteva immaginare Internet, più facile sognare una fantascientifica figurina autoadesiva. Non era il secondo secolo Avanti Cristo, erano gli Anni Sessanta e ai bambini del tempo arrivò tra le mani uno dei più bei giochi della storia umana, il gioco del celo-celo-manca-manca, lessico di settore per specialisti di razza, gente che fiutava al volo il buon affare e di conseguenza sapeva trattare, specie se oltre all’affare fiutava il pollo.
L'album Panini come una reliquia
A casa, conservato come reliquia di indicibile valore, l’album Panini. Chi lo gestiva con delicatezza compulsiva, quale archeologo davanti alle ossa di un Neanderthal, chi invece lo maneggiava con libidine tattile, freneticamente, continuamente, fino a sbrindellarlo con tanto di orecchie irrecuperabili tipo rose sfiorite. Fosse intonso come nuovo, fosse sfiancato da buttare nella carta straccia, nessuno aveva il nullaosta per avvicinarsi: non i genitori, figurarsi, niente nonni, men che meno sorella minore, lei la più insidiosa, subito pronta a vendicarsi di qualunque stupidata con rappresaglia infame sul sacro raccoglitore.
Adesso per un otto nel tema i genitori ti regalano un weekend lungo ad Amsterdam, i padri di quell’altra epoca erano capaci di comprarti a bruciapelo cinque bustine, tutte assieme, la domenica andando a messa. Non voglio fare il passatista rinco, ma davvero non so quanto siano più emozionati i ragazzini d’oggi all’imbarco per Amsterdam rispetto a noi nei momenti supremi dell’apertura bustine.
Il "fattore quantità"
All’inizio della raccolta contava solo il fattore quantità, servivano tante figu senza eccessivi doppioni (allora detti doppie), in modo da riempire il più possibile quelle desolate pagine piene zeppe di rettangoli bianchi, vuoti, tristi, in attesa della faccia. Quando invece la raccolta si avviava al completo, pulsazioni a ottomila, nella speranza – sostenuta dai necessari riti vudù, tipo occhi chiusi e guarda tu persino all’insidiosa sorella, lento e interminabile spoglio tipo carte del poker, giuro che se c’è Perani finisco il Bologna e vado subito a studiare le guerre d’Indipendenza – dicevo nella speranza di chiudere almeno una volta nella vita la raccolta che non si finiva mai.
Per la verità, c’era il Giulio che la finiva tutti gli anni, ma si sapeva in giro, suo zio a un certo punto gli faceva l’ordine per posta alla Panini e dunque record annullato.
In alcuni periodi dell’anno, noi maschi avevamo le tasche come i musi sfigurati degli scoiattoli dopo la raccolta ghiande, due gonfiori deformanti che ci impedivano anche di correre, ma d’altra parte era lavoro, bisognava tenersi i mazzi delle doppie sempre a portata di mano, succedesse mai di incontrare quello che aveva doppio Pizzaballa e non avere lì un bel capitale per lo scambio. Toccava stare in campana, l’occasione poteva capitare ovunque, al campo, all’Oratorio, in cortile, nell’intervallo fuori in corridoio, un Pizzaballa e ti do queste, contale, sono centocinquanta. Di sicuro, non era solitudine infantile. E tanto meno erano una nuova emergenza gli Hikikomori.
L'evoluzione della "specie"
Noi pischelli di allora abbiamo poi assistito all’evoluzione della specie. Da adulti, abbiamo imparato a spaccarci in due dalla nostalgia incontrando i mazzi sgualciti sulle bancarelle dei mercatini per collezionisti. Le figu hanno seguito il tempo, sono cambiate con il cambiamento, ma sappiamo bene che il vero segreto loro, eterno e immutabile, sta proprio nel non cambiare l’idea, il valore, il significato. Sappiamo, da fattorini o da dottori che siamo diventati, come oggi dire figurine Panini significhi una multinazionale da 5 miliardi di figurine all’anno in tutto il mondo, con fatturato di oltre 1,5 miliardi. Non solo. Sappiamo bene che i nuovi tempi sono per le generazioni del videogame. Eppure. Però. Ogni tanto, quando capita a tiro un nipote che ancora maneggia il mondo Panini, noi siamo subito lì, svegli come nuovi, fornendo consulenze, compartecipazioni azionarie d’impresa. Mettiamo sul piatto l’esperienza maturata nei migliori anni della nostra vita, liberiamo subito il gusto bambino di allora. Sindrome da Peter Pan. Così la chiamano le nostre mogli.
Certo bisogna crescere. Ma senza esagerare.