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Ranieri, la storia personale e la critica: la fedeltà non può essere un disvalore

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Non tutti i campioni dello sport sono attaccabili sui comportamenti e sulle scelte, anche se sorprendenti e verosimilmente impopolari. Ce ne sono alcuni che negli anni si sono guadagnati dei maxi crediti trasmettendo valori, buonsenso e positività al punto da essere considerati dei modelli di riferimento. 

Claudio Ranieri è uno di questi: lo celebrano in Inghilterra, in Spagna, dove ha lavorato e vinto. E da noi ha dato una bellissima immagine di sé riempiendo di ricordi e emozioni il Paese in lungo e in largo: da Catanzaro a Cagliari, da Napoli a Firenze, da Parma a Torino, Genova, Milano e Roma. La sua Roma. 

Tentare di macchiarne la figura per un no, frutto di un ripensamento notturno, è un esercizio intollerabile. Uomini che al supermercato non saprebbero scegliere tra un fustino di Dixan e due di un detersivo no logo si permettono di censurarlo per il solo essere tornato su una decisione che gli avrebbe cambiato vita e equilibri. 

È vero che si era spinto molto avanti con Gravina e lo è altrettanto che aveva messo sopra tutto e tutti il rapporto con la Roma. Se alla fine ha deciso di non tradire, è da applaudire: la fedeltà non può essere un disvalore. A 73 anni si può essere più che lusingati dalla panchina della Nazionale, ma si deve anche essere convinti e liberi di accettarla.  

La stessa Figc ha rispettato Ranieri, pur non gradendone la scelta, e ha taciuto. Almeno pubblicamente.

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