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Ancelotti firma per il Brasile: venduto il frigorifero agli eschimesi

È la prima volta che un italiano viene accettato su quella panchina, e dopo tutto non poteva non essere Carlo 

Abbiamo venduto il frigorifero agli eschimesi. Carlo Ancelotti allenerà davvero il Brasile. Storicamente abbiamo esportato pizzaioli e gelatai, minatori e muratori, ultimamente fior di giovani cervelli che da noi vogliamo pagare come mungitori, ma qui siamo oltre: insegneremo agli insegnanti. È la prima volta che un italiano viene accettato su quella panchina, e dopo tutto non poteva non essere Ancelotti: già in zona parlano dell’allenatore più grande (5 campionati europei e 5 Champions) per la nazionale più grande (5 Mondiali) per la missione più grande (vincere il sesto). Non capita così di rado che un Paese chiami dall’estero un certo allenatore di grido per ripartire da capo, rimettendo assieme i pezzi di un disastro, comunque predicando calma e pazienza, tirar su i giovani, insegnare uno stile di gioco e poi chissà, senza fretta, tornare a fare risultati. 

Ancelotti, al Brasile per vincere 

È del tutto eccezionale invece la situazione di Ancelotti: il Brasile non vuole ricostruire niente, non ha pazienza, men che meno gli interessa allevare giovani, il Brasile ha una sola ossessione, tornare subito sul tetto del mondo vincendo il sesto titolo, che manca da troppo, troppo per le abitudini e per la religione pagana del calcio in quei territori. Manca dal 2002. Per cui: tranquillità zero, rodaggi zero, “progetto” non scherziamo, il contratto chiaro e deciso è fino al 2026 perchè porta già dentro di sè una scadenza e un obiettivo, il primo Mondiale a portata di mano. Un anno, poco più, per rimettere in piedi una mitologia quasi soprannaturale, per riportare la gioia nel Paese dei pazzi carnevali e delle immense malinconie, il più delle volte irrimediabilmente legati al calcio. 

Ancelotti unico nella sua carica calma 

Per noi, che a occhio e croce un Mondiale dovremo aspettarlo molto di più, è già una vittoria mondiale: l’università del calcio abbassa la cresta e accetta la Quaresima di un allenatore italiano. Soffocato persino l’orgoglio superbo del presidente Lula, che soltanto nel 2023, alle prime voci di Ancelotti, non esitò a pronunciare il famoso discorso di Stato, «Ancelotti sarà anche bravo, ma non lo voglio ct, se vuole risolva i problemi dell’Italia». Tutto superato, tutto accantonato: alla fine, tra speranza e disperazione, il nome giusto è ancora quello, proprio quello che feriva come un’umiliazione. E come mai, si chiederà il mondo intero. Possono girare mille spiegazioni, ma la più fondata sembra questa: Ancelotti è unico ad attraversare il deserto senza scomporsi. Tanti altri hanno vinto molto, tanti altri hanno fatto calcio, magari anche più spettacolare del suo. Ma il Carlo degustatore di mentine e prosciutti nasconde dentro di sé una specie di filosofo stoico, che sa mantenere il giusto distacco dalle furiose passioni terrene, esprimendo equilibrio e armonia davanti ai due grandi impostori della vita, la vittoria e la sconfitta. La sua carica calma, la sua calma carica, il suo essere prima maestro e poi allenatore, tutto questo ne fa un rassicurante monumento da patrimonio Unesco. Nel mondo dei guru, resta centrale come uomo. Niente da aggiungere, è il frigorifero giusto anche per gli eschimesi. 

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