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Ancelotti già innamorato del Brasile e pronto all'esordio: "Ora chiamatemi Carlinho"

Il tecnico racconta i primi giorni della sua nuova avventura da ct verdeoro, che inizierà il 6 giugno in Ecuador nel match di qualificazione ai Mondiali

ROMA - Se a Madrid era conosciuto come 'Re Carlo' grazie ai trionfi con cui ha contribuito ad arricchire la già sconfinata bacheca del Real, in Brasile è diventato 'Carlinho'. “Mi hanno soprannominato così e mi piace”, confessa Carlo Ancelotti in un'intervista rilasciata ai microfoni di 'Vivo Azzurro TV' a pochi giorni dall'esordio sulla panchina della Nazionale brasiliana, in programma il 6 giugno sul campo dell'Ecuador in un match valido per la qualificazione ai Mondiali 2026.

Ancelotti, l'allenatore dei record

L’unico allenatore ad aver vinto il titolo nei cinque principali campionati europei (Italia, Inghilterra, Francia, Germania e Spagna) e il solo ad aver alzato per cinque volte al cielo la Champions League, racconta al microfono della piattaforma OTT della Figc la sua esaltante carriera, a cominciare dall’ultimo viaggio che da Madrid lo ha portato a Rio de Janeiro: “Adesso inizia un’altra avventura, è una responsabilità grande, ma anche una grande felicità avere l’opportunità di allenare la nazionale brasiliana. Sono stato accolto con molto affetto, spero di preparare bene la squadra e fare in modo che sia competitiva al prossimo Mondiale”. Imparare una nuova lingua non sarà un problema: “Dovrò studiare il portoghese come ho dovuto studiare il francese, l’inglese, lo spagnolo: mi aiuterà il fatto che il portoghese ha la stessa grammatica”.

La vittoria come 'attimo fuggente'

'Capitano, mio capitano!'. Immaginateveli come gli studenti dell’Attimo fuggente, la celebre pellicola del 1989 diretta da Peter Weir e interpretata da uno straordinario Robin Williams. I suoi ragazzi, i suoi campioni, tutti in piedi sui banchi di scuola come sulle panche di uno spogliatoio per rendere il giusto tributo al loro maestro. Carlo Ancelotti come John Keating, il calcio che diventa poesia, il sentimento che prevale su schemi e metrica. Sapersi emozionare per poter emozionare. “Mi commuovo abbastanza facilmente - rivela - la lacrima mi viene facile e non è un problema”. Lui, vincente per antonomasia, sa vincere perché ha imparato dalle sconfitte: “La vittoria è un attimo fuggente, festeggi e guardi avanti. La sconfitta è uguale: è dispiacere, tristezza, ma il calcio ti dà sempre l’opportunità di guardare avanti. Mi tengo tutto, le vittorie e le sconfitte. Le sconfitte ti danno modo di migliorare”. Una vita con la valigia in mano, ma il ritorno a casa non ha prezzo: “Tornare a Reggiolo mi dà energia, tengo vivi i ricordi di una bella gioventù. In casa non c’è mai stata una discussione, c’era armonia. L’unica cosa che mancava erano i soldi, ma non si parlava mai di soldi”. I soldi sono arrivati insieme al successo e ai successi, ma c’è una cosa che non è mai cambiata. E che è stata il vero motore di una carriera eccezionale: “Reggo l’usura del tempo grazie alla passione che ho sempre avuto per il calcio. Questa passione ti fa sopportare la pressione e lo stress”. Anche l’ironia gioca un ruolo importante. Paolo Maldini ha raccontato come con le sue battute Ancelotti sapesse stemperare la tensione prima di scendere in campo per una finale: “Andavamo a vincere perché eravamo bravi, non perché facevo le battute. Essendo stato calciatore magari alcune cose le capisco prima di uno che non è stato calciatore”.

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