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Ancelotti esclusivo: "Se non vinco non diverto"

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L'intervista all'allenatore del Real Madrid: primo in campionato e nel girone di Champions, ha idee molto chiare sul presente e sul futuro del calcio

Ivan Juric gli ruberebbe la calma («un complimento, arriva da Juric che è sempre parecchio carico in partita»). Mentre lui soffierebbe la «schiettezza a Mourinho che è molto diretto» risponde in automatico per non mandare in bianco la mia domanda: a Ancelotti la franchezza non ha mai fatto difetto. «Ogni tanto ci scambiamo dei messaggi, io e José, trovo che sia un uomo sincero». Il solito gigante, Carlo, uno che su questo mondo assurdo e spesso ridicolo passa il balsamo di un’ironia che non cade mai dall’alto. Ora è di nuovo primo, e per ben due volte: nel girone di Champions, davanti all’Inter, e in campionato. «Ho ritrovato una Liga più livellata, sono cresciute squadre come il Siviglia e la Real Sociedad, anche il Rayo sta facendo bene. L’offerta del Madrid è stata una fantastica sorpresa, anche se non avevo mai perso i contatti con il club. Dipendesse da me, resterei a vita, non esiste un posto migliore di questo per fare calcio e per vivere. Al Real è tutto così uguale e immutabile, l’unica cosa che cambia sono gli allenatori. Gli stessi fisioterapisti, gli stessi magazzinieri, gli stessi giornalisti, la stessa visione, la stessa urgenza di grandezza nonostante i danni finanziari prodotti dalla pandemia. Tra un anno, a fine dicembre 2022, sarà pronto il nuovo Bernabeu e per luglio Florentino ha intenzioni serissime».

Haaland, oltre a Mbappé.

«Parliamone più avanti». Ride.

[...]

Florentino è uno dei due irriducibili della Superlega. L’altro è Agnelli.

«Il calcio deve cambiare e deve farlo in fretta. Per prima cosa bisogna ridurre il numero delle partite, si gioca troppo e male, la qualità dello spettacolo è precipitata, i giocatori non ne possono più, alcuni rifiutano la convocazione in nazionale. Stanchezza fisica e mentale, uno sproposito di infortuni, partite che finiscono 10 a 0, è ora di dire basta».

[...]

Parli di qualità, tu che sei considerato un “risultatista” della prima ora.

«Le vittorie, i titoli sono l’unità di misura del lavoro dell’allenatore. Il profitto influenza tempi e carriere, è così in tutti i settori. Chiaro che giocando bene è più facile ottenere il risultato. Io diverto quando vinco. Ad ogni modo non mi ritrovo in alcuna sottocategoria. Il bravo allenatore è quello che adatta il gioco alle caratteristiche dei giocatori. Se ho Modric e Kroos non posso pretendere di fare pressing alto. Sarei un idiota se con un attaccante come Vinicius, che ha un motorino sotto i piedi, non puntassi sul contropiede. Ti faccio un ultimo esempio: se davanti ho Ronaldo studio il modo di fargli arrivare spesso la palla, non gli chiedo di sfiancarsi con i rientri. Lo stesso con Ibra. I giocatori sono di due tipi: quelli che fanno la differenza e quelli che devono correre. Deve averlo detto Conte, e se non è stato lui va bene ugualmente. Non ho mai coltivato un’ideologia. Il guardiolismo, il sarrismo. Il mio credo è l’identità di squadra».

[...]

L’Italia campione d’Europa rischia di non andare in Qatar. Non lo trovi paradossale?

«A luglio la Nazionale fece un miracolo. E andrebbe ancora ringraziata. A livello individuale l’Italia è inferiore a Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, Belgio. In estate trovò le motivazioni e le condizioni atletiche e mentali giuste, Mancini preparò benissimo le partite e ottenne un risultato eccezionale».

Tutta l'intervista esclusiva sull’edizione del Corriere dello Sport-Stadio

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