Dopotutto oggi è un altro giorno. Non per dimenticare, anzi. Dimenticare la sveglia che l’Italia ha preso contro la Francia, all’esordio di questo appassionante Europeo, sarebbe un grave errore. La domenica della mortificazione è giusto che resti una ferita aperta.
Questa Nazionale è praticamente la stessa dei Mondiali di tre anni fa, qualche piccolo cambio, qualche importante scelta, qualche assenza pesante. Ma non è questo che ha portato alla debacle. Alcune cose si potevano fare meglio: per esempio, la differenza enorme tra noi e loro poteva essere contenuta; non ci si doveva ostinare su un modulo; è mancata una strategia per ingannare le differenze.
Ai Mondiali 2019 non ci si aspettava niente dalla Nazionale e ogni risultato era tanto. Allora il movimento femminile si imponeva dopo quattro anni di battaglie e anche enormi cambiamenti, e la Coppa del Mondo era una sorta di debutto in società: dopo vent’anni di assenza tutto era così bello che non ci siamo accorti che forse alla semifinale si poteva credere, invece di accontentarsi - ma sì i quarti sono già tanta roba - facendo passare un traguardo di mezzo per un’impresa. Ora è diverso, perché l’Europeo è la conferma che in Italia il calcio è maturo, non è più debuttante.
Oggi è un altro giorno, e dopotutto l’Islanda è un’altra squadra, si deve tornare in campo con la lucidità di quel palo preso in faccia, che ci ha svegliato dal sogno, ma consapevoli che quei cinque gol subiti sono spiegabili, frutto di errori concreti che hanno accresciuto la frustrazione e annullato ogni possibile reazione. Sbagliare è umano. La differenza tra Italia e Francia c’è per carità, ma di certo non è quella imbarazzante del 5-1. Per questo non si deve dimenticare.
Contro l’Islanda più che un’altra Italia, basterebbe l’Italia che forse è rimasta negli spogliatoi, mentre in campo ce n’era una smarrita, sopraffatta dagli errori e manchevole di una leader che rimettesse sulle rotaie un treno deragliato. Basta l’Italia che sa costruire e segnare, difendere e ripartire. Un gruppo che deve pensare a giocare, prima che a dimostrare. I detrattori avranno già sentenziato “le donne non sono buone per il calcio”, e questa è l’ultima cosa che le azzurre devono concedere. Si può perdere ma con stile. Perché il calcio non è più un gioco, è professionismo.