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Veltroni intervista Mancini: «Vorrei allenare la Nazionale»

Getty Images
L'ex allenatore, tra le altre, del Manchester City: «Il mio sogno? Sono un romantico, mi piacerebbe fare il ct. All’Inter bastava poco per vincere. Presto tornerò a lavorare»

ROMA - Chi ama il calcio come estro, come tocco gentile del pallone, come fantasia applicata, non può non aver amato Roberto Mancini. La sua, quella dei nati nei primi anni Sessanta, è stata una generazione di campioni, come quella che produsse Mazzola, Rivera, Rosato, Riva, tutti nati sotto la guerra e i bombardamenti. Il calcio, non si sa perché, va per generazioni.

E chissà che non ne stia emergendo una nuova, proprio in questa stagione. Mancini e Vialli sono stati una delle coppie più belle del calcio italiano. Integrati e fungibili, senza divisioni di ruoli. Tutti e due capaci di fantasia e potenza, di acrobazia e tecnica sopraffina. Li si rimpiange, non solo a Genova. Da allenatore Mancini ha vinto ovunque ha messo piede. Credo che abbia una gran voglia di tornare a farlo. Gli scappa di vincere. [...]

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Quanto le manca adesso il campo?

«Molto. Non è facile star fermo, anche se per propria scelta, per uno che lavora tutti i giorni da sempre. I primi mesi sono belli, perché uno si riposa e ritrova il tempo. Dopo chiaramente il lavoro quotidiano manca. Però poi arriva».

Lei ora aspetta la fine del campionato?

«Sì».

E dopo, allenerà in Italia o fuori?

«Vediamo quello che accadrà e cosa potrà arrivare di buono, per continuare a vincere». C’è una squadra emotivamente, romanticamente, che le piacerebbe allenare una volta? «Romanticamente mi piacerebbe allenare la Nazionale. Per tanti motivi». [...]

L’ultima esperienza nell’Inter. La prima era stata molto bella, salvo la conclusione. Ma quelle conclusioni sono tutte, come negli amori, spiacevoli. Invece questa seconda è stata un po’ più travagliata.

«E’ stata comunque una buona esperienza . Io ho lavorato un anno e mezzo, abbiamo costruito una buona squadra e poi ci siamo lasciati perché secondo me non c’erano più le condizioni giuste per lavorare bene e per lavorare insieme. Poi quando si è in un momento di cambiamento, quando cambia il proprietario del club, arrivano proprietari da un altro continente che non sanno tanto di calcio italiano, diventa un po’ difficile lavorare e far capire che con poco quest’anno l’Inter poteva lottare per il vertice. Dopo un po’abbiamo capito che era meglio separarsi. Forse è stato meglio per tutti».

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