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Icardi, il passo indietro

Continuano a spingere sull’acceleratore: a strappi. Nessuno mette il piede sul freno e la corsa alla soluzione definitiva si complica ogni giorno di più risultando surreale, quasi irritante.

Tanto l’Inter quanto Icardi hanno avuto e possono ancora esibire validi argomenti a sostegno delle rispettive posizioni: ma nel calcio come nella vita, e fors’anche più che nella vita - vista la mutabilità di valori, princìpi e situazioni che governa questo mondo - solo il buonsenso risulta premiante: l’orgoglio e l’esasperazione della coerenza si trasformano spesso in dannosi ostacoli.

Vengo al punto: considerate l’età, le ambizioni e le prospettive di Icardi, fossi in lui - oggi - troverei un modo per chiudere in fretta e elegantemente questa tormentata e per certi versi intollerabile vicenda, non dico attraverso delle scuse pubbliche ma con una presa di coscienza del momento. Che non significa resa.

Maurito ha soltanto 26 anni, non trentasei, e tutta una (grande) carriera davanti. Ha un’immagine internazionale che non può essere macchiata ulteriormente da una lunga e inutile opposizione aventiniana. Sappiamo che l’Inter sostiene che Mauro sia inviso al gruppo, non più in grado di fare il capitano e che gli interventi televisivi della moglie-agente non l’abbiano aiutato; anche se - e l’ha saputo la società dai giornali, dalla rete e dalla tivù - dopo quel pronunciamento Icardi e quasi tutti i compagni si ritrovarono in allegria a una festicciola di compleanno; il resto fa parte della quotidianità di tutti, protagonisti, lettori e giornalisti talvolta spiazzati dalle parole dei dirigenti, penso ad esempio al giudizio espresso da Zhang junior a Nanchino: «Icardi è un bravo giocatore, una brava persona e ha aiutato l’Inter con molti gol». 

Voglio pensare che le parole del giovane presidente fossero un estremo tentativo di riavvicinamento in vista dell’inevitabile cessione: anche per questo mi sento di suggerire a Maurito di riprendere in mano la situazione per ripartire “depurato”. Altrove, naturalmente. Soltanto lui può farlo: Marotta, che la patata bollente se l’è ritrovata tra le mani a gennaio e che ha dovuto - per ruolo e sensibilità - imporre un imbarazzante rispetto delle regole, non può più tornare indietro: ne risponderebbe non solo personalmente.

Infine Wanda, volutamente visibile: se è la moglie innamorata che tutti sappiamo essere, deve capire che un gesto del genere - smussare, senza l’obbligo di spiegare - sarebbe un estremo gesto d’amore e aiuterebbe a sbloccare la carriera del marito che in questo momento si è impantanata. Matrimonio e patrimonio sono conciliabili: basta avvicinare il cuore al cervello.

Accelerando con ostinazione, e qui riprendo il pensiero iniziale, si è scivolati maldestramente nel punto senza ritorno della faida, ovvero lo scontro frontale, ovvero la sfida fallica di chi ce l’ha più lungo, che include tutti senza distinzione di genere o di età, uomini e donne, giovani e anziani.  Solo che nel caso delle faide esistono quasi sempre storie ancestrali, regole d’onore e tabù infranti. Nella faida non esiste più la logica del vantaggio economico ma solo quella della vendetta, costi quello che costi, incluso la distruzione totale dell’altro e di sé stessi. 

In questo caso il soggetto più fallico e più fallace sembra proprio Wanda. L’eleganza del passo indietro dovrebbe ispirare la famiglia: il “non siete voi che mi cacciate, sono io che vi condanno a rimanere”.  L’esempio illuminante ce l’hanno in casa: Radja che dice: “Vi costringerò a rimpiangermi”.

La classe semidivina dell’uomo è quando riesce a dribblare se stesso, il vero dribbling del genio, inventarsi una via d’uscita dove non c’è, il farsi fuori là dove sembra imponente e rocciosa la sua posizione, anche a costo di riconoscere un proprio errore. 
 

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