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Champions, ora Istanbul rischia la finale

AP

Proteste e passi ufficiali: l'atto finale del 30 maggio fa discutere

Diciamo la verità, magari anche subito: la probabilità che venga tolta la finale di Champions League a Istanbul è irrisoria. Nonostante le mosse decise portate avanti in primo luogo dal governo italiano, il 30 maggio 2020 dovrebbero giocare lì, allo Stadio Olimpico Atatürk, la Juventus o chiunque sarà ad arrivarci. Adesso la Turchia è additata da una gran parte del mondo per l’invasione del Nord della Siria e per il sangue curdo versato, ma sappiamo come vanno queste cose. Chi vuole che si vada a Istanbul può attendere che il ciclo dell’indignazione prenda la discesa e si passi a parlare d’altro.

Poi non sarà certo una rappresaglia sportiva a fermare Erdogan, il leader turco che ha ignorato ben altre pressioni. Anche se una finale di Champions League non è mai qualcosa a cui si rinuncia con disinvoltura. Per il fascino della cosa in sé e perché inietta nell’economia locale tra i 30 e i 50 milioni di euro, a seconda delle squadre impegnate e quindi della capacità di spesa dei tifosi. E’ un evento singolo che vale oltre 400 milioni di giro d’affari, un punto a sfavore di chi vorrebbe andare a giocare altrove. Più una macchina è preziosa più risulta difficile spostarla.

Però in questo caso è stata la politica a provocare lo sport, con quei non enigmatici messaggi di Demiral, Ünder e altri calciatori turchi, le foto con i saluti militari, le esultanze pressoché propagandistiche. Dunque è lecito che il calcio risponda e comunque è naturale se ne parli. E di isolare Istanbul si sta parlando. Ovviamente sui social network, che non sono vuoto cosmico bensì un pezzo di realtà e di opinione pubblica, dove ha avuto successo l’invito #NoFinaleChampionsaIstanbul. Ma se ne parla anche là dove si potrebbe davvero decidere qualcosa. Il dibattito è mondiale, naturalmente, e si è diffuso largamente e profondamente in Italia. Anzi, il nostro Paese si è esposto.

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