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Campioni che scelgono le partite

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«A un certo punto della stagione i giocatori scelgono le partite». È una delle tante frasi da annotare che appartengono a Carlo Ancelotti, al quale il calcio non può più insegnare nulla. Sono soprattutto quelli decisivi a risparmiarsi nelle (o le) sfide meno importanti: lo fanno per conservare le energie fisiche e mentali necessarie per affrontare le prove senza appello. Modric e Benzema, Rodrygo e Vinicius avevano optato inevitabilmente per la semifinale col City, subito dopo la finale di Coppa del Re. E hanno dato spettacolo, qualcosa di esaltante. Anche per merito della squadra di Guardiola, a lungo messa sotto. Il calcio è semplice, ma è difficile giocare semplice, ripeteva Johann Cruijff. Il guaio è che questa verità fatica a prendere la cittadinanza nella testa di qualche commentatore. Cosa serve per giocare semplice e bene? La qualità, quel quid che consente a un’idea di risultare efficace. Senza la qualità, che è precisione e scelta dei tempi, gli schemi non riescono quasi mai; con la qualità - a certi livelli - anche una non-idea può diventare vincente. Gli schemi? I piedi e la leggendaria visione di gioco di Modric sono uno schema. Il palleggio di Alaba e Camavinga un altro schema. La velocità di Vinicius e Rodrigo il terzo schema. E poi c’è la strategia di Ancelotti: evitare inizialmente il pressing, rientrare il più in fretta possibile quando la palla l’hanno loro, difendere con calma e ripartire con Valverde (per il quale impazzisco), Rodrygo e Vinicius, l’attaccante più decisivo del momento. E nella ripresa ci si scatena. Mi accorgo di aver parlato solo di Carlo e trascurato Guardiola: a Pep provvedono già altri, avendone fatta una religione. Saltando da una tv all’altra - ieri l’offerta era infinita - ho sentito una seconda voce fornire questa spiegazione: «Guardiola riparte da dietro, ma se viene pressato ricorre al lancio lungo per Haaland (ieri azzerato)». Azz, un’autentica intuizione: lo faceva anche Giancarlo Magagni con gli Allievi del Boca di Bologna 1974. Sempre a proposito di qualità, stasera Milan-Inter è fortemente condizionata dalla presenza o dall’assenza di Leao: Inzaghi dice che per lui non cambia nulla. Mi permetto di dubitare. Il portoghese possiede una cosa che gli altri non hanno: l’imprevedibilità.

Relata referee (Mou, schiva l’Oliver! *)

Roberto Rosetti l’italiano, presidente della commissione arbitri della Uefa, ha designato il trentottenne Michael Oliver per Roma-Bayer Leverkusen. L’arbitro inglese, amaro ricordo juventino, quello del bidone al posto del cuore, è uno dei cecchini più temuti da Mourinho, avendogli fischiato contro ben sette rigori tra United e Tottenham, sei dei quali realizzati. Non da lui. Venuto a sapere di Oliver, per un attimo - ma solo un attimo - l’allenatore della Roma ha avuto la tentazione di rivalutare il povero Chiffi, maltrattato a Monza. Queste righe sono di un’antisportività e di una slealtà impressionanti. Mi aspetto di essere deferito dal procuratore Chiné per induzione alla prostituzione intellettuale.

* vecchia espressione bolognese: sta per evita l’ostacolo.

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