Il fenomeno si è di nuovo materializzato al Bernabeu. Kylian Mbappé, tre gol, City in ginocchio e Bernabeu in piedi per celebrare un giocatore immenso. Aveva segnato anche all’andata, ma di più erano stati gli errori in zona-gol. Stavolta è stato un inferno per la difesa del City. Un gol più bello dell’altro, un pallonetto, un destro-sinistro-destro in area, una finta e un sinistro micidiale dal limite, mamma mia quanta roba e che roba.
Real-City, altro che finale anticipata
Avevamo dipinto Real Madrid-Manchester City come una finale anticipata, ma non lo era, non poteva esserlo perché questo City, in queste condizioni, ha fatto il massimo arrivando allo spareggio. Della grande squadra sono rimasti il budget (200 milioni spesi solo a gennaio) e la presunzione, quel modo di stare in campo che non prevede l’avversario, anche se si chiama Real Madrid, anche se davanti ha Vinicius e Mbappé. E’ stata una notte fantastica per il Real e per il suo fantastico francese, ma già all’inizio della gara Guardiola ha dato un bell’aiuto all’amico e rivale Ancelotti. Che dopo 4 minuti si è ritrovato la partita e la qualificazione in mano. Il Madrid ha i due attaccanti più veloci del mondo e come si può facilitare la loro migliore qualità? Lasciando spazio, tanto spazio, una prateria di spazio. Così Pep ha piazzato la sua linea difensiva sulla linea di metà campo, dimenticando pure di marcare Raul Asencio che, liberissimo, ha lanciato Mbappé, un fulmine come tutto il mondo sa, anche se a Guardiola non interessa. Scatto, difesa incenerita, pallonetto, Real in vantaggio. E a proposito di quel gol, viva la costruzione dal basso...
Manchester City, squadra morta dentro
Eppure bastava che il tecnico catalano ricordasse come nei tre anni precedenti Ancelotti lo aveva messo fuori dalla Champions per due volte, quando ancora non aveva Mbappé. C’era riuscito nello stesso modo di ieri, in contropiede. Ma al grande City, già fuori anche dalla corsa in Premier League, cosa vuoi che interessi l’avversario. Io mi devo imporre, io devo giocare, io devo tenere sotto l’avversario, io lo devo attaccare. Come se il suo allenatore non conoscesse la condizione in cui versano ora (e non da ora) i suoi giocatori. Il City è una squadra morta dentro, sfinita, svuotata, ha lasciato di sé un’immagine terribile. La grande diva invecchiata e arresa all’età che non dà scampo. Faceva davvero un brutto effetto vederlo così sottomesso e faceva pensare alla fine di un ciclo. Se il Real avesse voluto, ne avrebbe segnati anche il doppio di gol. Già dopo l’uno a zero si è capito che non ci sarebbe stata storia. Fra andata e ritorno la superiorità tecnica, fisica, mentale del Madrid è stata imbarazzante. A Manchester poteva vincere anche con tre o quattro gol di scarto, ieri poteva finire con un’altra disfatta del City: il 6-3 totale non rende l’idea di cosa è davvero successo nei 180 minuti.
Carletto batte ancora Pep
Carletto, a differenza di Pep, più che al gioco pensa ai giocatori e siccome ne ha di livello straordinario, li fa giocare tutti insieme, come faceva col Milan dei numeri 10, con Pirlo, Seedorf, Kakà e Rui Costa. Quando ieri i fantastici quattro del Real hanno unito e sintetizzato la loro qualità nella stessa pazzesca azione è arrivato il 2-0. Stop fantastico di Rodrygo, tocco a Bellingham, tocco a Vinicius, ancora Rodrygo, assist per Mbappé che in area ha piazzato il suo secondo colpo. E’ venuto giù il Bernabeu. Il problema è che il calcio del Real Madrid non è calcio, è qualcosa di diverso, fa un altro sport, anche parlare di tecnica sopraffina non rende pienamente l’idea. Speri sempre che la palla passi fra quei piedi fatati perché solo allora questo gioco diventa arte.