Con tutto il rispetto per Paris Saint Germain-Arsenal, in programma domani, sarà Inter-Barcellona di oggi la partita delle partite, la bilancia delle differenze, la Waterloo che segnerà una fine e un inizio. Il 3-3 del Montjuïc ha prodotto erezioni fortissime e reazioni non meno turgide. Un kolossal: vero. Uno spettacolo: certo. Da sbattere in faccia ai corti musi: sìììì.
Inter, risposta strategica
Allacciate gli aggettivi, lucidate le metafore, brandite i mouse. E scordatevi che il risultato sia l’isola d’Elba dalla quale evadere non era poi così complicato. La sentenza ci condurrà idealmente a Sant’Elena, da dove non tornò neppure «ei fu». Se persino Pep Guardiola ha rovesciato i report dell’Uefa - possesso: 72 per cento a 28% pro Barça - ed esaltato le lavagne di Simone Inzaghi («Non sa solo difendere»); se applaude la scuola italica proprio lui, l’architetto del tiki-taka che da un’altra Inter di un altro Inzaghi (José Mourinho) subì il medesimo trattamento, episodi a parte, bè, non si può non archiviare il lascito ed esserne fieri. La notizia coinvolge i turbamenti di Fusignano. L’occupazione militare del territorio nemico fissò la dogana della «diversità», termine caro a Mario Sconcerti. Arrigo Sacchi ne ha annacquato le scintille dogmatiche sulla «Gazzetta»: se i «culé» insistono nel privilegiare i ricami, gli avversari hanno scelto le pugnalate in transizione e le sportellate in mischia, erculei come sono. Morale della favola: gentile Lamine Yamal e gentilissimi statistici-statisti, basta con ‘sta solfa dei numeri (per esempio: 19 tiri a 7). La risposta dell’Inter è stata strategica, non tattica.
Inter-Barcellona farà giurisprudenza
Per fortuna, il momento si avvicina. Dal cozzo di stili uscirà un verdetto che farà «giurisprudenza» nelle redazioni, nei bar, sui social: ovunque e comunque. La vocazione di prendere di petto i rivali; l’abitudine di aspettarlo al varco. Siamo nel 2025 e continuiamo a scannarci attorno alle carcasse di dicotomie obsolete, di filosofie che spinsero Gianni Brera e Gino Palumbo su ring mica tanto platonici. Dobbiamo accontentarci di Antonio Cassano, capace di scavalcare a sinistra addirittura l’Arrigo: «Inter asfaltata, poteva beccarne cinque». Sulla stessa linea, con forbiti distinguo, Lele Adani: «La grandezza assoluta molte volte ti impartisce una lezione mostrando tutti i tuoi difetti e annullando quasi tutti i tuoi pregi». E via con i paradossi: «Distanze abissali, carta canta, ma l’Inter non è mai andata sotto. Mai. E giocava in trasferta». Gli estremismi si graffiano e rinunciano allo status neutro di «semplici» estremi. È la vitalità popolare e populista del calcio, che sposa le regole e va a letto con le eccezioni; Arlecchino furbo e scafato, quando gli conviene, nel mescolare i due «padroni» da servire, l’arrembaggio e il catenaccio. San Siro, ore 21. L’esito, ripeto, tracimerà ben oltre gli argini del tabellino e delle infografiche. Si fronteggiano una rinomata palestra e una distinta sartoria. «Non dobbiamo mai negoziare per timore, ma non dobbiamo mai aver timore di negoziare», disse John Fitzgerald Kennedy. Non stasera, però. Al diavolo gli 8 settembre e le fumate grigie. «28% a 72%»: si ricomincia da qui. Fuoco.