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Tra vecchi gufi e nuovi corvi che impazzano sui social

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Tra vecchi gufi e nuovi corvi che impazzano sui social ANSA

Fa sorridere Beppe Marotta che parla di "invidia" nei confronti dell’Inter e bacchetta il "rischio fallimento" sfoggiato dagli avvoltoi 

Il mestiere del gufo è vizio e sfizio. Non coinvolge scienze o coscienze. Ce ne sono di due tipi: quello che, settario, non finge; e quello che, diplomatico, simula. Il rodimento del bersaglio è il suo nutrimento, il suo orgasmo. Fa sorridere Beppe Marotta che parla di «invidia» nei confronti dell’Inter e bacchetta il «rischio fallimento» sfoggiato dagli avvoltoi. Il presidente viene da una lunga militanza alla Juventus, le cui finali di Champions - nel 2015 a Berlino con il Barcellona di Leo Messi; nel 2017 a Cardiff con il Real di Cristiano Ronaldo - furono accompagnate da stormi così densi che avrebbero minacciato persino «Gli uccelli» di Alfred Hitchcock. E’ una carriera che non paga. Ma, se colpisce, appaga. Ai giovani leoni del Web rammento l’epilogo ateniese del 25 maggio 1983. Juventus-Amburgo: in palio, la Coppa dei Campioni; in passerella, il fior fiore del gufismo nazional-popolare. Era allarmato Giampiero Boniperti, per l’aria che tirava in uno zibaldone di inchini, sviolinate e targhe «alla vigilia». Erano nel panico gli iettatori di professione o su commissione, aggrappati all’Unione europea come estremo dazio anti Goeba. Morale: uno a zero per i lanzichenecchi di Ernst Happel. «Gazzetta», «Tuttosport» e «Corriere dello Sport-Stadio» ammainarono pagine e pagine di celebrazioni, non senza i falsi moccoli degli estensori-gufi (ce n’erano, ce n’erano). Un gruppo di giornalisti arrivò addirittura a premiare l’autore del gol, Wolfgang Felix Magath, con una medaglia: per il pericolo scampato e per il senso di 25 aprile diffuso. Boniperti proprio bene non la prese, memore del vaticinio di un mago: occhio ai primi dieci minuti. Il sicario sparò al 9’. 

Gufi non si nasce: si diventa. E i controlli incombono, fiscali. Se dai favorito il Napoli, macumba ci cova. Se non lo dai, lo fai «da esperto», la classica formula che elude il problema e confonde l’identità. Quando il Milan di Arrigo Sacchi giocava all’estero, Peppino Prisco citava sempre una zia residente nella città degli avversari, per giustificare il nobile e parentale supporto. Insomma: non perché amasse il Milan di meno, ma perché amava la zia di più. Buona, questa.  Nel mondo virtuale e raramente virtuoso dei social i corvi impazzano festosi. C’è la versione pretesca - auguri di cuore e gran strizzata di turibolo - e c’è l’edizione di pancia - e se domani, uno stiramentino - a conferma che il fair play è invenzione british, e dunque da marcare stretto per evitare che qualcuno ci caschi o, peggio ancora, ci creda. C’è chi ha studiato dai Salesiani - «vinca il migliore» - e chi si è fatto da sé - «manco per idea» - divisi dal muro, subdolo, delle apparenze. Da abbattere o salvare in base all’alta marea delle pulsioni.  Il menagramo gode di un enorme prestigio tra i pulpiti dei bar, e se dovesse mai sposare una o uno dell’altra parte, scambierebbe la «fede» solo in chiesa, ed esclusivamente su ordine sacerdotale. Ma per un attimo, non uno di più. E poi via, di corsa, a rinfrescare la cronaca e insegnare le lingue: il tedesco di Magath, il francese di Basile Boli, lo spagnolo di Rodri.

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