È arrivata. È arrivata la terza Coppa Italia. Questa era “il sogno bolognese”, attesa da 51 anni perché per i bolognesi è storia, per altri spesso sola consolazione. La prima, nel ’70, di Edmondo Fabbri e Beppe Savoldi; la seconda, nel 1974, di Pesaola e Giacomino Bulgarelli; la terza di Vincenzo Italiano e Dan Ndoye (mi perdoni l’immenso Orsolini, sì la dedica tocca allo svizzero che ha segnato il bellissimo gol al 52’ e può dedicarlo - ripeto: è storia - a un connazionale importante. Louis Rauch, il fondatore del Bologna 1909).
Vittoria sacrosanta, una lezione di calcio senza svarioni, anzi elegante oltre ogni attesa; di potenza senza cedimenti, dopo le due paratissime di Skorupski; una esibizione di sicurezza con la riproposta intelligente difesa inventata da Italiano, non muro secco ma contrasto mobile con i cinque difensori - Lukumi e Holm eccellenti - e il centrocampo esemplare con Freuler e Ferguson accompagnati al meglio dall’ingresso di Pobega al 59’.
Un trionfo davanti a trentamila bolognesi esaltati da un allenatore che ha fatto tornare al Dall’Ara l’Università del calcio. Nel ’74 eravamo poche migliaia - sì, c’ero e ringrazio Iddio del mezzo secolo che mi ha già regalato - stavolta s’è risentito, insieme alle voci di Cremonini, Morandi e altri cantori - l’Urlo della città consacrato da Luca Goldoni nel 1964. E l’Olimpico? Proprio come il giorno dello spareggio e dello scudetto tutto per i rossoblù. Una volta sotto l’Inter, stavolta sotto il Milan. Come dicono i romani: mica pizza e fichi. Quando Conceiçao ha fatto entrare Gimenez, l’ho visto muoversi quasi distratto e ho pensato: ma come ha fatto il Bologna a giocare quella partitaccia a San Siro. Avrà fatto apposta?
È bello, credetemi, prepararsi a far cronaca e finire nella storia. È bello in pochi minuti vedere affacciarsi dalle nuvole Giacomino che s’incontra con Baggio seduto in tribuna. È bello ricordare Renato Dall’Ara e chiedergli un applauso e una benedizione per Joey Saputo che ha dato alla nobile città della Due Torri un grande trofeo e un orgoglio soffocato per decenni da scoramento e indifferenza. E adesso, finalmente felici, non rievochiamo un pensiero classico. Da qui si ricomincia. E il Paradiso può attendere.
Corriere dello Sport
Rendi la tua esperienza speciale