L’errore di Helmersen al 91’ e la partita ancora incredibilmente viva. Il 2-0 di Noslin al 93’ e l’Olimpico in deliquio. I supplementari: subito le lacrime di Nuno Tavares, un nuovo infortunio. Il bacio di Noslin e Baroni che chiede l’applauso del pubblico. Il gol di Dia. Improvviso eppure atteso. Lo shock del 3 a 1. Di Helmersen, sempre lui. Poi espulso. I rigori. Già, i rigori.
Frammenti di una serata drammaticamente laziale e ingiusta.
Cosa posso dire della squadra di Baroni che alla 46esima uscita stagionale è stata eliminata ai rigori? Vado di aggettivi, che è facile: concentrata, continua, rabbiosa, perfino ossessiva, coinvolgente, a tratti esaltante. Ma anche imprecisa e sfigatissima: ci ha provato in ogni modo e da ogni dove: dalle fasce, dal centro, di testa, di piede, di tacco (ha fatto centro) e di sponda, negli ultimi venti minuti del primo tempo e per quasi tutta la ripresa ha praticamente affittato il pallone, concedendo pochissimo ai norvegesi.
Isaksen, Guendouzi e Rovella sono stati addirittura commoventi per impegno e produttività.
Il Bodø, sul naturale, era alla portata, molto meno sul sintetico dove la prestazione della Lazio fu indecente. Si è rifatta ieri. Ma senza gli interessi.
Comunque bella, questa Lazio. Bella, libera, decisa. Imperfetta anche, ma ci sono partite in cui sembra dimenticarsene: troppo importante il risultato. Baroni incoraggia il calcio verticale in cui tutto è contemplato, anche il pallone portato per trenta, quaranta metri. Guendouzi, inesauribile, e gli esterni praticano con disinvoltura l’area-area senza fermarsi all’errore.
Ci sono partite sognate e altre segnate. Non importa che specifichi a quale specie appartiene questa.