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Italia, qui si vede il coraggio di Mancini

Getty Images

Gli elementi del dramma si dispongono in questa vigilia di Italia-Svizzera in maniera apparentemente casuale. Ci sono due spiegazioni per l’infortunio che taglia fuori Immobile a quarantott’ore dalla partita che vale il Mondiale. La prima è medico-scientifica. Il centravanti della Lazio ha avvertito un affaticamento all’articolazione del ginocchio sinistro nella partita con l’Atalanta a Bergamo. Ha stretto i denti con il Marsiglia e con la Salernitana, sovraccaricando la muscolatura e aiutandosi con gli antidolorifici. Forse ha chiesto troppo al suo fisico e il polpaccio alla fine ha chiesto il conto.

Ma c’è anche una spiegazione psicologica. Immobile gioca dall’Europeo per smentire la sfiducia che sente attorno a sé. Ogni gol che segna per la Lazio fa crescere il suo orgoglio, ma si percepisce osannato in maglia biancoceleste e sopportato in azzurro. Così si presenta ieri in conferenza stampa e tira fuori il rospo: «Mi dispiace a volte non avere lo stesso trattamento degli altri - dice -, sembrava io non facessi parte dei 26 dell’Europeo e questa non è una critica, è una cattiveria bella e buona». Con chi ce l’ha? Non lo dice, ma il suo malessere attraversa l’intero universo che lo circonda. Gli infortuni muscolari sono sintomi di un disagio non solo fisico, e la vicenda del capocannoniere triste sembra dimostrarlo. Per questo il futuro di Ciro ci riguarda quanto il futuro della Nazionale. Perché è vero che le sue performance in azzurro non sono state fin qui all’altezza delle attese, ma la qualità e la quantità dei suoi gol e delle sue giocate nel club sono una riserva di talento tangibile, di cui non si può fare a meno.

L’emergenza tuttavia congela questo nodo e proietta l’Italia in una vigilia caldissima. La Svizzera è il passaggio stretto attraverso cui il nuovo ciclo di Mancini può uscire rafforzato, o piuttosto rischiare di spegnersi prematuramente. Questo spareggio vale una finale, ma una squadra che ha vinto l’Europeo non dovrebbe temerla. Ed è in queste situazioni che l’esperienza e il coraggio del ct si dimostrano capaci di semplifi care le scelte più difficili. La sua strategia s’ispira a una convinzione che deriva dal suo essere stato espressione di un calcio di alta qualità tecnica: vuol dire che la sostituzione di un centravanti classico non si fa necessariamente con un altro centravanti classico, ma con i migliori attaccanti di cui si dispone. E i migliori davanti sono Insigne, Chiesa e Berardi, quel tridente mobile che rappresenta da tempo un’alternativa nel disegno di Mancini. Lo ha provato ieri in allenamento, ed è molto probabile che ne faccia la fanteria di questa Nazionale.

La raggiunta maturità di Federico, la sua capacità di giocare anche spalle alla porta e di liberarsi indifferentemente a destra e a sinistra per il tiro, fanno ormai di lui un attaccante universale e completo. L’intesa con Insigne e Berardi può dirsi ampiamente rodata e in grado di offrire più garanzie di qualunque altro esperimento.

Questo gruppo deve al ct una valorizzazione che non era scontata. È il momento di confermare che il successo di Wembley è stato l’inizio di un’egemonia e non un fuoco fatuo. Ci sono tutte le premesse perché ciò accada.

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