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La continuità discontinua

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Durante l’intervallo, sul 2 a 1 per noi, Mancini si è concesso ai selfie di alcuni italiani presenti a Konya. L’espressione del ct, quella di chi aveva appena perso il gatto: una foto da buttare o da mostrare ogni 2 novembre. Da conservare, al contrario, sono alcune cose viste contro una Turchia che ha provato in ogni modo a somigliare alla Macedonia: la concentrazione e il dinamismo di Tonali e Pessina, l’opportunismo di Raspadori, la lucidità di De Sciglio, il sinistro di Biraghi. Mentre Donnarumma merita un discorso a parte. La personalità di Chiellini, che insieme a Acerbi formava una coppia di centrali over 70, quella, non sarà semplice ritrovarla in altri.

Lo ammetto: ero convinto che Mancini fosse prossimo al fine corsa poiché, a Qatar perduto, si sarebbe dimesso: temevo il Portogallo, di certo non la Macedonia. Del Nord, poi. Pensavo che avrebbe prevalso l’orgoglio dell’ex campione e che avrebbe mollato anche per evitarsi altri due anni di lavoro a singhiozzo, e di ostacoli posti dai club. Per cosa poi? Per disputare un nuovo Europeo, torneo già vinto e dunque a fortissimo rischio fallimento-bis?

Avevo sottovalutato il fatto che Roberto si è realmente innamorato del ruolo, il legame con la Nazionale va ben oltre il contratto fino al 2026. Gravina non gli ha nemmeno dato la possibilità di guardarsi dentro: al presidente è bastato ricordargli l’importanza di non lasciare il posto da sconfitti anche per non cancellare le tante cose buone fatte fino a Londra. Già, perché da fine estate a fine marzo il ct ha commesso qualche errore, finendo - per assenza di tempo e risorse tecniche - per abbandonare parzialmente il percorso che aveva battuto con successo. Parte della stampa pretendeva che qualche nobile testa cadesse: in Nazionale le scadenze non le fissano i contratti, bensì i Mondiali e gli Europei. Gravina ha avuto il coraggio di andare contro la storia, sfidando critica, dissenso popolare e avversari politici: ha evitato l’azzeramento, puntando sulla continuità nella discontinuità. Per accontentare i duri e puri avrebbe potuto esporre al pubblico la capoccia del Mancio, ma non l’ha fatto, né ci ha mai pensato. Fin dalla notte (in tutti i sensi) di Palermo ha lavorato in funzione della stabilità, pur ripromettendosi di sottolineare gli errori a suo dire commessi e i temi da sviluppare.

Non sarà semplice ripartire da uno, non lo sarebbe stato nemmeno se fossero intervenuti cambiamenti traumatici, e quindi da zero. Conservata la testa, adesso il nostro calcio deve tuttavia ripensare seriamente la base, l’intero settore tecnico. Il calcio è un pianeta in cui tutto è possibile e anche reversibile. Se percorso inverso deve essere, che percorso inverso sia. Tenendo presente un dettaglio dimenticato in queste ore di mini-psicodramma, visto che le cadute del passato hanno registrato simultaneamente ribellioni popolari: il popolo stavolta ha digerito la sconfitta, ha rinunciato ai pomodori, ai pesci marci, alle parole usate come pietre, delegando alla rete il veleno del sarcasmo; e i rappresentanti del popolo hanno rinunciato alle interrogazioni parlamentari, alle esibizioni demagogiche che il calcio ha sempre favorito, a destra come a sinistra.

Direte: il dibattito è passato drasticamente dalla pandemia all’Ucraina, i demagoghi non hanno avuto tempo, né voglia, di farsi distrarre da un evento minore che un tempo sarebbe stato definito scandaloso, oggi semplicemente fastidioso. E poi, diamo atto allo stesso popolo che, messo di fronte alla débacle macedone, non ha cancellato ore di straordinaria gioia e sincera gratitudine. È stata la spontanea fiducia della gente, non la presunta potenza dei media, a dire a Mancini vai avanti. Mancini al quale è stato rimproverato di non aver fornito alcuna spiegazione della disfatta. Avendo scelto di restare, ha bruciato l’appunto che avrebbe letto nel caso in cui si fosse dimesso e non avesse quindi proseguito con il gruppo azzurro. Ovviamente sono riuscito a strapparlo alle fiamme, il biglietto. Ecco dunque la spiegazione mai data: «Ho sbagliato a far tirare i rigori a Jorginho, che deve avere una cugina in Svizzera. Gli attaccanti italiani, i quattro o cinque che giocano in serie A, in Europa non segnano nemmeno con le mani. A Palermo Barella ha reso omaggio al suo cognome. Insigne era già in Canada con testa e piedi. Meglio Lake o Palmer di Emerson a sinistra». Proprio in nome della continuità discontinua, Mancio ha preferito risolverla alla Mancio: «Solo sfortuna», se a Wembley fu solo culo.

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