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Da Barra a San Siro con l'Italia: la sorpresa Mazzocchi

La Salernitana per la prima volta porta un giocatore in Nazionale. La storia di Pasquale, fruttivendolo da bambino per giocare a calcio in un quartiere difficile di Napoli

Da bambino, correndo, dribblava le insidie del quartiere Barra, periferia di Napoli, di cui ora è l’orgoglio. Pasquale Mazzocchi è stato forgiato dal dolore. «Ho perso un amico per meningite quando avevamo 9 anni. Ne sono passati diciotto, ma credo non mi abbia mai abbandonato, è sempre accanto e mi sostiene». Lo ha tatuato sul petto. Si è emozionato, ieri a Coverciano, parlandone con Donatella Scarnati della Rai. Più che un’intervista, è stata una confessione. «Barra è un quartiere molto difficile, dove ogni giovane fatica a crescere, a trovare lavoro. Sono stato fortunato. Il calcio penso mi abbia salvato la vita». Ha inseguito con ostinazione il pallone. Vendeva la frutta per giocare. «Sei figli in famiglia, tre fratelli e tre sorelle. Per aiutare i genitori ho iniziato a lavorare come fruttivendolo, dovevano pagare la scuola calcio e in più c’erano da comprare gli scarpini. Ho deciso di aiutarli. Era l’unico modo». Non parlate di sogno. «Ho questa convinzione. I sogni appartengono a chi dorme. Gli obiettivi si raggiungono con il lavoro e i sacrifici».

Scoperta

E’ indubbio, però, che Mancini gli abbia dato una possibilità enorme a 27 anni e senza un passato azzurro. Il ct e lo scouting di Coverciano hanno una sola possibilità per rilanciare il calcio italiano: aprire gli occhi, andando a cercare il talento, dovunque si trovi e accelerandone la maturazione. Mazzocchi, al primo campionato di Serie A, si era rivelato con il Venezia. Corsa potente, da esterno destro. Nicola ora lo impiega a sinistra. Sabatini lo aveva scelto e portato all’Arechi a gennaio. Iervolino e De Sanctis lo hanno riscattato per un milione in estate. E’ diventato il primo giocatore nella storia della Salernitana a essere convocato in azzurro. «Esperienza incredibile, mi sento fortunato. E’ qualcosa di straordinario, ripensando a tutta la strada fatta». Dalla Serie D (con il Rimini e con il Parma tra il 2014 e il 2016) alla Nazionale dopo essere transitato dal Piacenza (Lega Pro) e dal Perugia in B prima di salire con il Venezia. «Alla Salernitana devo tutto, non solo al presidente. Penso ai tifosi, ai compagni. Mi hanno aiutato a centrare l’obiettivo. La convocazione è un punto di partenza, non di arrivo. La Nazionale te la devi meritare». La gavetta, iniziata nel vivaio del Benevento, era proseguita con la Primavera del Verona. Non si è mai fermato. «Pensano sia un portafortuna. Viene tutto dal sacrificio, dal carattere. La verità è che non mi arrendo mai». Lo chiamavano “mezzo chilo” da bambino. «A Napoli ognuno ha il suo soprannome. Ero magrolino. Con il passare del tempo, crescendo, mi sono irrobustito». I genitori vivono l’emozione di Barra. «Piangono da tre giorni perché sono in Nazionale, ancora non ci credono». Il suo calcio è anche divertimento. «Bisogna sorridere, giochiamo a pallone per lavoro. Ora sono l’idolo del quartiere, tutti tifano per me, perché sono arrivato a questi livelli». Pensate se dovesse esordire.

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