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Nazionale, il bisogno di vincere l’ipocrisia

BARTOLETTI

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E m o’ basta. Basta con le amichevoli che interrompono i campionati, restituendo più infortunati che risposte, e oltretutto fanno ascolti miseri. Basta con i ripescaggi che impongono v uoti da riempire alle nazionali già qualificate. Basta con i calendari impossibili imposti da Fifa e Uefa, con tornei come la Nations League, ad esempio, che deprimono addirittura le televisioni ma garantiscono i voti dei Paesi “minori” al reggente del momento. Chi arriva terzo in un girone di qualificazione europea da 4 o 5 squadre deve restare fuori anche se rientra tra le migliori terze (sai che risultato). Sei stato sfigato anche al momento del sorteggio? Ritenta, sarai più fortunato. 

Vorrei dire basta - anzi, lo dico - anche agli esperimenti: il ct non ha il tempo materiale per formare una squadra e allora si affidi a un gruppo semichiuso e lo consolidi via via: i 16, 17 migliori o presunti tali ed eventualmente due o tre ingressi che nel frattempo hanno fatto cose eccellenti in campionato e nelle coppe, non soltanto dieci partite e due gol. Basta con le scelte “politiche” che non accontentano nessuno. La Nazionale dovrebbe essere, è, un punto d’arrivo e non di partenza. Mancini stabilì il record di esordienti ma quanti Pafundi, Zaniolo, Kean, Grifo, Baselli, Pellegri, Zerbin, Lasagna e Piccini hanno il posto fisso in prima squadra e non si sono sentiti già arrivati perché scelti per indossare l’azzurro. 

Luciano Spalletti, uno spreco che uno come lui non alleni tutti i giorni, combatte la frustrazione di lavorare a singhiozzo elargendo divieti e proclami, diffondendo splendide parole d’amore per la maglia azzurra. Dribbla così l’indifferenza degli italiani per i quali la Nazionale è un interesse primario soltanto nelle fasi finali di Europei e Mondiali.  
Per risultare vincenti è necessario avere ottimi calciatori, non grandi allenatori come Spalletti o Conte. Con i buoni giocatori bastano i Pozzo, i Bearzot, i Valcareggi. 
Lippi è l’eccezione. Arrigo Sacchi, leggenda della panchina, non ha potuto mai incidere veramente. Mentre Mancini è diventato campione d’Europa con partite di sofferenza e i rigori, appellandosi all’impegno, alla determinazione, all’unità del gruppo. Più che alla tattica. 

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