Il calcio sta andando in una direzione chiara: il denaro si concentra nelle mani di pochi, le risorse arricchiscono sempre le stesse tasche (meglio se quei pantaloni appartengono a gente che vota), i campionati nazionali vengono svuotati di valore e i calendari riempiti di competizioni fino alla saturazione. Pazienza se i calciatori si fanno male, se lo spettacolo ne risente e se l’inflazione delle emozioni finisce per trasformare l’evento-partita in una routine simile ai quiz preserali. L’importante è produrre, quindi giocare, anche partite non utili, purché l’overdose da pallone sia utile a far lievitare i conti in banca. Fino a quando la corda potrà essere tirata con questa intensità non è dato saperlo, ma questa è la strategia che i potenti del calcio stanno attuando con il Mondiale per Club della Fifa e con la nuova SuperChampions, lanciata dall’Uefa come risposta ai tentativi secessionisti della Superlega.
La questione dei diritti tv
Nel frattempo, le tv mandano deserte (o quasi) le aste per i campionati professionistici di secondo o terzo livello. Ne sa qualcosa la Serie B, uno dei tornei più incerti e avvincenti d’Europa, che ha penato un anno fa per far acquistare i suoi diritti di trasmissione. Anche la Serie A, ormai, deve arrovellarsi tra piani e pacchetti per contenere le perdite. Le stesse piattaforme spendono però 1 miliardo per far vedere questo Mondiale, un torneo che neppure le qualificate volevano giocare finché la Fifa non ha fatto sentire loro il profumo del denaro; per l’esattezza: 20-25 milioni per la partecipazione, 1,8 a vittoria, 900 mila euro per un pari, più altri sostanziosi bonus dopo ogni passaggio del turno. Inter e Juve hanno già in tasca più di 30 milioni con appena tre partite disputate. Cifre da capogiro che fanno a pugni con una realtà territoriale in apnea. Lo sfarzo della rassegna iridata di Infantino si manifesta nei giorni in cui la procura di Taranto ha chiesto il fallimento della squadra della sua città a causa di 4 milioni di debiti verso l’Erario, in cui la Spal ripartirà dall’Eccellenza per non essere stata in grado di coprire una fideiussione da 700 mila euro, in cui il Brescia è stato penalizzato, è retrocesso e ha causato un effetto domino devastante in B per non aver versato ritenute IRPEF e contributi INPS per circa 1,8 milioni e la Lucchese è sprofondata negli abissi per la quarta volta negli ultimi 17 anni avendo maturato debiti di poco superiori ai 4 milioni. Un successo contro un’improbabile squadra africana o una formazione di dopolavoristi come quella dell’Auckland, per intenderci, avrebbe potuto tenere in vita una di queste piazze storiche, seguite da migliaia di appassionati.
Segui i soldi
Insomma, ai grandi livelli il calcio continua a somigliare all’Eldorado, mentre le società meno strutturate s’inabissano, soprattutto quando retrocedono e non riescono più ad ammortizzare i costi, interrogando il sistema su una riforma che tutti i dirigenti federali degli ultimi 40 anni hanno promesso, incontrando varie resistenze. Dal 2000 in Italia sono fallite 190 società, l’83% delle quali in C, una categoria che avrà pure 60 squadre, ma resta l’unica a essersi già imposta un’autoriforma (prima erano 90). Dal 2014 hanno penalizzato 93 società a stagione in corso. Quello dei punti dati e tolti è un balletto giuridicamente inappuntabile, capace però di stravolgere la programmazione imprenditoriale di chi assiste, impotente, agli stravolgimenti della classifica, con buona pace di chi ha fiducia nel merito sportivo. Chissà se ci crede ancora la Fifa, che ha ammesso al Mondiale l’Inter Miami di Messi in qualità di rappresentante del Paese ospitante anche se non ha vinto neppure il proprio campionato. A Zurigo temevano probabilmente che un Mondiale senza la Pulce, dopo le assenze di CR7, Yamal e Salah, potesse perdere di appeal commerciale. Follow the money, dicono gli americani. Segui i soldi e capirai tutto.