Da piagnone e perdente a simbolo di un passaggio epocale nella storia del calcio. È un attimo. È la meravigliosa schizofrenia del football, dove tutto è business e tutto è esagerato. I risultati sono il termometro degli affari. Sono passati appena trenta giorni dalla partita che avrebbe dovuto segnare la carriera di Simone Inzaghi. Il 31 maggio l’Inter veniva sommersa di gol dal Psg in finale di Champions: cinque a zero. Simone procedeva a capo chino. Aveva perso tutto quel che c’era da perdere. Lui che era stato inchiodato mentre con le dita indicava il tre di triplete. Ancora pochi giorni e sarebbe diventato il traditore. L’uomo che abbandona la nave per salire su uno yacht di extralusso. Hanno provato, ancora provano, a venderci la storiella che all’Inter nessuno sapesse nulla del suo trasferimento in Arabia Saudita. In quello che fino all’altra notte era definito il pensionato dorato del football. Cinquanta milioni netti (o giù di lì) per due anni.
Gli hanno detto di tutto in questi giorni, anche prima in verità. Lui non ha replicato. Giusto qualche frase, alla maniera di Simone: «Dell'Inter mi mancherà tutto, anche questo, anche le accuse più ingiuste che mi sono state rivolte negli ultimi quattro anni». Oppure: «Credo che anche l’Inter pensasse che separarsi fosse la cosa giusta». Come a ricordare che in questa storia c’è qualcuno che non la racconta giusta e quel qualcuno non è lui. Oggi, alla luce del tutti contro tutti andato in scena dopo la disfatta col Fluminense, si comincia a comprendere ancora meglio la portata del lavoro di Simone che in questi anni ha fatto sembrare l’Inter un gruppo unito, una grande famiglia come amano dire i cultori dell’ipocrisia. Ma tutto questo, oggi, è il trapassato. Perché nella notte tra il 30 giugno e il primo luglio, Inzaghi è stato attore di un evento spartiacque, che segna un prima e un dopo. Il suo Al Hilal ha eliminato il Manchester City di Guardiola nel famigerato Mondiale per Club. La squadra simbolo dell’opulenza calcistica europea, agli ordini dell’allenatore più osannato del pianeta, venerato come se fosse un alchimista. È finita quattro a tre, come Italia-Germania.
Il Times scrive che la partita ha cancellato il senso di superiorità della Premier League, quell’atteggiamento derisorio nei confronti dei pensionati sauditi. Il prestigioso quotidiano si sofferma anche su Simone, ricorda che lo scorso anno diversi grandi club inglesi avrebbero voluto ingaggiarlo. “E invece - scrive - l’ha preso l'Arabia Saudita. E lui ha organizzato l’Al-Hilal in modo sontuoso”. Non male per un piagnone che non sa perdere. Ragionevolezza imporrebbe di ricordare che Inzaghi ha allungato di quattro anni la permanenza dell’Inter nell’élite del calcio. A costo quasi zero. Non come il City di Guardiola che solo nel 2025 (da gennaio ad oggi, in sei mesi) ha speso 370 milioni di euro. La sua Inter non li ha spesi in quattro anni, si è fermata a 260. Contro quel City perse una Champions che ancora grida vendetta. Si dirà che all’Al Hilal, invece, i soldi non mancano. Che Simone ha una signora squadra. È vero. Ma bisogna farli giocare quegli ex calciatori (così sono considerati) che vanno in Arabia Saudita solo per le pensioni d’oro. Bisogna trovare il modo per far riemergere la loro carica agonistica. La voglia di far sapere al mondo che a pallone sanno giocare e che la cara vecchia Europa ha sbagliato a snobbarli.
La Premier League aveva trattato Koulibaly come un ferro vecchio, Ruben Neves come uno che non sarebbe mai stato all’altezza del suo talento. Simone ha trasferito la loro capacità di soffrire. Li ha convinti che avrebbero potuto competere alla pari con gli squadroni europei. Ha lavorato sulla loro psiche. Herrera e Mourinho sono passati alla storia per questo. Capacità che invece non è mai stata riconosciuta a Simone. È paradossale ma ci voleva l’Arabia Saudita per far capire definitivamente che Inzaghi è allenatore vero. Che sì, può anche dare di matto in campo, ma se lo fa evidentemente c’è un motivo. Ormai sembra un’epoca fa. Da oggi Inzaghi è nella storia del calcio. Ogni volta che un bambino chiederà: “ma chi allenava quella squadra saudita che sconfisse il Manchester City?”, il suo nome scintillerà.