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Mondiale per Club: Infantino, Trump e la corsa al potere

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Mondiale per Club: Infantino, Trump e la corsa al potere EPA
Una sede della Fifa nella “tower” del presidente è molto più di un fatto di prestigio. In gioco ci sono interessi geopolitici e accordi milionari, che si estendono dagli Stati Uniti all'Arabia

Fino a pochi mesi fa, le malelingue raccontavano che le uniche due persone in grado di varcare i cancelli della Casa Bianca senza la necessità di particolari controlli fossero Elon Musk e Gianni Infantino. Il capo della Fifa era ed è un habitué del salotto di Trump, fino a diventare una sorta di suo consigliere personale sulle questioni calcistiche, un business sempre più attraente per il tycoon. Lo stesso non può più dire il boss di Tesla, ormai ai ferri corti con l’eccentrico presidente. Ecco, Infantino - il re di un Mondiale che ha mille nemici, gran parte silenziosi, e pochi sostenitori, quasi tutti rumorosi - ha stretto talmente i rapporti con Trump da portare la Fifa direttamente dentro la sua Tower, sulla Fifth Avenue di New York, dove verrà esposto anche il trofeo in attesa della finale del 13 luglio al MetLife Stadium. L’ufficio della confederazione mondiale del calcio dentro il palazzo dell’uomo più influente del pianeta non è solo un fatto di prestigio: testimonia il legame sempre più stretto tra il pallone e il potere, tra il gioco e la politica, tra gli interessi sportivi e quelli economici.  

I soldi, il potere e le scelte

 
Infantino ha voluto il primo Mondiale per Club fuori stagione, con leghe e sindacati in protesta, i club coinvolti (ma non convinti) grazie al super montepremi e gli spalti spesso mezzi vuoti, proprio negli Usa, che a loro volta hanno inserito 625 milioni per la sicurezza dell’evento in una curiosa legge di bilancio. Poi ha portato il Mondiale per nazionali del 2026 ancora in America, strizzando l’occhio a Trump ma anche ai paesi confinanti, il Canada e il Messico, che Donald vorrebbe rispettivamente annettere e dividere dagli Usa con un muro. «Per essere globali, bisogna essere locali», il claim scelto dal numero uno della Fifa, che due giorni fa ha ringraziato Trump in presenza di suo figlio Eric, parlandone come di «un grande appassionato di calcio». Nell’ultimo decennio la Fifa ha aperto uffici in tutto il mondo, eppure l’espansione americana - prima di New York era stata inaugurata la sede di Miami - la dice lunga sui progetti dell’attuale governance. La stessa che organizzerà il Mondiale 2030 tra Spagna, Portogallo, Marocco, Argentina, Uruguay e Paraguay, sei paesi e tre continenti, a proposito della logistica e della salute dei calciatori legata al giusto riposo, e quello del 2034 in Arabia, dopo aver strappato accordi milionari con il fondo Pif e il colosso degli idrocarburi Aramco. Seguire il flusso del denaro è sempre una buona idea per capire le ragioni di certe scelte. 

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